Che cosa ho fatto in tutto questo tempo?

Torno indietro veloce e scorro tutto quello che ho fatto.

Parole con musica che profumano di vita vissuta, senza sprecare nemmeno un minuto…

Ho preso qualche treno, qualche nave
Qualche sogno qualche tempo fa
Seguendo un’intuizione e poi sono tornato qua
Coi miei bagagli a mano su per tutte queste scale
Scalciando contro il cielo, scavando sul fondale
Senza pensare a ciò che ho perso nel tragitto
Tenendo stretto il meglio di me stesso che non ho mai scritto
Ringhiando al buio contro una parete
Grattando via la quiete
Saltando giù nel vuoto senza rete
A picco nell’imbuto
Dritto nel conflitto, perché so che si rialza solo chi è caduto
Noodles, e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche uno sputo di ciò che non ho detto
Di quando non ho fatto
Cercando nel silenzio il mio riscatto
Chiedendo più tempo al tempo o un senso
Qualcosa che fosse vero e non andasse perso
In mezzo a questo panico dove nessuno ascolta
E ognuno ha la sua recita
E ognuno pensa alla sua svolta
Nessuno che si volta mai ad aspettarti e da ‘ste parti
Se ho lasciato è stato solo per salvarci
E non tradirci e ritrovarci
Liberi e lontani da lucchetti e catenacci
Forti anche contro la corrente
(Eh sì) Pronti a giocarci tutto
Sennò la vita è niente

Noodles
E chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto
E chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto

Eh sì, Noodles
E chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto
E chi si ferma è perduto
Ma so che si rialza solamente chi è caduto

Ho fatto er core pietra
E ho riempito la faretra
Perché il tempo non aspetta e non arretra
Nessuna pietas
Non vengo per nessun bottino in questa terra di banditi
I giorni hanno ammazzato pure i più astuti, Noodles
Battiti del cuore, sfido pure la pressione
Vivendo in fretta questo tempo e cancellando il nome
Perché la sfida con la vita ì in mezzo alle persone
E conta quello che hai lasciato, capito come?
Vivendo e consumandomi ho perduto le mie tracce
Gli estranei differenti nelle loro facce
Col freddo della vita che toglie il respiro
Ho costruito bunker pe’ arriva’ al mattino
Vivo certe volte sulle punte pe’ vede’ lontano
Altre volte piedi a terra per quello che amo
E se tutto fosse invano?
Gelo come Jack dentro il labirinto con un ascia in mano

Noodles
E chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto
E chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto

Home sweet Home

Immagine personale

Ho sempre amato la parola “home”: il suono e il significato, perché è diversa da house.

Tutti, bene o male viviamo in una casa: bella, fatiscente, con pochi mobili, da tinteggiare, in affitto o mutuo, con dei vicini o sperduta fra le montagne, ma a volte non è propriamente “home”.

Le motivazioni per cui un rifugio, un posto sicuro dove deporre le armi sullo svuota tasche e camminare a piedi nudi, diventa house anziché home possono essere infiniti: coinquilini insopportabili, la paura della solitudine, genitori rompipalle, insonnia da rumore, vicini discutibili.

Da quando ho lasciato la casa dove sono nata e cresciuta come scatto di crescita personale, qualsiasi scatola con tetto e mattoni è sempre stata “home”, e non potrebbe essere altrimenti.

Sento l’esigenza di poter rimanere in un posto solo se mi sento a mio agio e libera: alcune volte ci sono situazioni a cui non ci si può proprio sottrarre, quindi stringo i denti e non appena arrivata a casa mi rilasso…sono salva!

Ho uno stile non minimal, quindi per ogni trasloco fatto, la quantità di cose riportate era sempre in aumento, ma per me erano ricordi insostituibili e mi sembrava giusto che abitassero con me.

Non sono un’accumulatrice seriale, e cerco sempre di riciclare prima, e buttare poi, ma sono sempre oggetti con una storia, un passato, un ricordo di chi me lo ha regalato, dove, quando e perché. Hanno un’anima, perché è un frammento di mia vita condivisa con qualcuno di importante, che magari non c’è più o è lontano, e mi vuole bene.

Non parlo solamente di fotografie, libri o lettere, ma di piume, foglie secche, biglietti di treno o di concerti, scatole, foulard, quadri, penne, bottiglie di vino vuote, flyer di manifestazioni, perline di collane rotte in mezzo alla strada, sfere di cristallo, candele.

Lontano dagli occhi, ma mai dal cuore.

Ogni home che ho avuto da sola o condividendola è stato il porto sicuro per tutti i miei cari, non solo per me: nessuno ha mai avuto soggezione o imbarazzo acclimatandosi subito e usandola quando la vita non dava tregua, molte volte anche quando io non c’ero.

Chi ti conosce non ha bisogno di ordine maniacale e la cena pronta, ma solo di un bicchiere con qualcosa di forte e del silenzio interrotto solo dalle vostre risate o dai suoi singhiozzi o dai tuoi: toglie giacca, scarpe, armi e si lascia andare ad occhi chiusi sapendo che tu sei pronta a prenderlo senza lasciarlo cadere…

Terzo estratto da “Quando le lacrime si confondono con la pioggia”

TERZO ESTRATTO

È mattina quando arrivano a Roma, e salutato Manuel prosegue verso il loft.

Nell’atrio l’attende il portiere sorridente:

«Buongiorno Signora Penelope, i suoi bagagli sono già arrivati. Ha fatto un buon viaggio?»

«No. Non voglio essere disturbata da niente e nessuno per i prossimi due giorni.»

Senza salutare, sale in ascensore desiderosa di casa. Ormai stanca, in down, spegne il cellulare, butta la borsa sul divano, attraversa la sala, e si spoglia strada facendo tuffandosi tra le lenzuola profumate di sandalo con la mascherina sugli occhi.

Dopo quasi dodici ore di sonno si risveglia con la gola secca, la bocca cementata e la testa pesante. Il loft è buio, in silenzio e la pioggia battente picchietta sulle finestre lasciandosi scivolare lentamente sui vetri. Cammina a piedi nudi verso il salone con indosso solamente una tunica accendendo candele e ceri in ogni nicchia diretta in cucina.

– Bentornata bambina mia, domani sarò da Gilda. Ti lascio frutta fresca e qualche stuzzichino. Prenditi cura del tuo corpo e sazia lo spirito. I nuovi colli sono sistemati in atelier. –  Guenda

Il biglietto appoggiato sul marmo bianco è una consuetudine di ogni ritorno a casa. Pepe ha sentito spesso parlare di questa Eva, ma per un motivo o per un altro non è mai riuscita a vederla.

Smangiucchia qualche acino d’uva e taglia una microscopica fetta di tortino, ma ancora addormentata non si rende conto di aver affettato anche il suo dito. La vista di tutto quel rosso insieme al coltello le procurano una morsa allo stomaco, un flashback doloroso: il viso di lui macchiato da gocce del suo sangue. Lascia cadere il coltello con gli occhi sbarrati e le mani tremolanti cercando di tamponare la ferita con un tovagliolo. Con la mano avvolta malamente arranca verso una qualsiasi bottiglia di alcol e ne tracanna enormi sorsate buttandone un po’ anche sul taglio.

Allontana la faccia di Riccardo dopo mezzo litro di vodka.

Esce in veranda per farsi ripulire con la faccia verso il cielo, mentre le lacrime si confondono con la pioggia e lentamente lavano via ogni traccia di ricordo.

Il suo cuore va ancora all’impazzata. Pepe con una mano sulle cicatrici continua a parlarsi per cercare uno spiraglio di luce in questo lungo tunnel buio:

«È tutto passato, sei viva e lontana da lui. Al sicuro. Non ti troverà mai, non sa dove sei, l’hai sconfitto!»

Completamente zuppa d’acqua dopo dieci minuti respira normalmente ritrovando la calma, passeggia ancora un po’ per far cessare il tremore e la crisi di panico.

Rientra in casa gocciolando ad ogni passo.

Si asciuga, ma il silenzio è una cassa d’espansione per i pensieri accendendo della musica per mescolarli e confonderli.

Deve tenersi occupata.

Questo è il terzo estratto del mio libro: un altro tassello che serve per comporre il puzzle, un altro pezzo importante nella vita di Penelope, la protagonista.

Qui troverete il primo e il secondo estratto che ho pubblicato:

Lascio il link per il preordine dove c’è la sinossi, le prime pagine del libro, e per chi preordina ho incluso l’opzione di lettura integrale del testo non editato:

https://bookabook.it/libro/quando-le-lacrime-si-confondono-con-la-pioggia/

Mancano 40 giorni alla fine della campagna di crowdfunding e mi stanno tornando delle belle emozioni da chi ha deciso di avventurarsi nella lettura grezza del libro.

La prima recensione è quella di Giusi che lascio qui sotto per la lettura:

Vostra Low🖤

Il mio 26 aprile…

Irma (Mimma) Bandiera, partigiana

Vorrei che ci fosse un mondo dove il giorno dopo tutti applicassero nella quotidianità lo spirito di unione concentrato nella ricorrenza di ieri.

Mi piacerebbe pensare, che le parole di “Bella ciao!” continuassero a girare nelle nostre teste e scavassero solchi di memoria più longeva di un giorno, di aiuto reciproco, di unità.

L’antifascismo con cui tutti si riempiono la bocca per vari fatti successi negli ultimi giorni, e una conversazione fatta con Gabry, uno dei miei più cari amici che stimo per la sua integrità e forza di pensiero e azione, mi ha fatto riflettere molto su che cosa sia realmente questa parola nel 2024 e Gabry ha ragione: i fascisti esistono ancora…eccome!

Lui ha sempre ragione!

Basti pensare al green pass vaccinale imposto qualche anno fa, e ciò che  silenziosamente a piccole dosi, un cucchiaino alla volta, ci somministrano: senza accorgercene navighiamo in un mare di merda.

Ricordo le prime manifestazioni “NO GLOBAL”, il G8 di Genova e tutte quelle grandi resistenze allo status quo.

I partigiani di oggi.

Dov’è finito tutto?

La speranza l’ho persa proprio dopo il G8, ma non ne ho mai fatto mistero, però continuo lo stesso con le nuove generazioni a far venire dubbi, a fare domande, a non dare ciò che ci vendono un tanto al chilo, scontato e giusto.

Facciamo crescere i futuri adulti con quesiti da risolvere, problemi a cui trovare la soluzione e facciamo in modo che i loro cervelli continuino a lavorare, a pensare senza fargli trovare sempre la strada più facile.

Solo così potremmo ricreare la lotta dei partigiani, che senza strumenti eccelsi hanno contribuito a liberare l’Italia.

Ecco. Liberiamoci da questa nube di pressapochismo che ci ottenebra la visuale e il cervello.

Resistiamo!

Non è facile per niente ciò che chiedo, ma forse posso farvi riflettere con delle domande:

Vuoi continuare a sopravvivere senza poter decidere nulla della tua vita?

Vuoi crescere figli e nipoti senza consapevolezza di quanto sia bello avere un’opinione diversa, perché è stato approfondito un argomento?

Non dico di imbracciare un fucile e fare un colpo di stato, ma perlomeno facciamo sì, che i dubbi possano guidarci fuori da questa caverna dove ci hanno costretto a vivere.

Iniziamo dal basso, dalle piccolissime cose di tutti i giorni lasciando che l’indifferenza non l’abbia vinta!

Liberiamoci!

Come ho passato il 25 aprile? Guardando una stupenda rappresentazione teatrale fatta dai bambini della primaria che li ha riportati a quei giorni di buio, quando gli hanno imposto di non giocare con bambini che portavano cucita una stella gialla, quando i fischi non erano un bel rumore, quando i nonni non raccontavano più le storie di paura, ma cantavano filastrocche per distrarli, quando sugli alberi appendevano corpi di giovani…giovani partigiani e i fiori non erano per gli innamorati, ma si deponevano sulle tombe.

Non c’era abbastanza pioggia per lavare dalla terra il sangue degli uomini”

Anemia sentimentale

Opera personale

In questi anni poco ruggenti, ma tendenti al miagolante ho notato che ormai c’è un filtro per tutto.

Aria e acqua mi sta bene, perché con l’inquinamento globale servono, anche se fa molto effetto placebo.

Quelli che non concepisco molto sono tutto il resto dei filtri, delle vere e proprie schermate protettive che non ci consentono mai di vedere quale sia realmente la verità, la reale immagine che i nostri occhi proiettano al cervello.

Mi spiego meglio.

Ai miei tempi (ho 47 anni e non sono decrepita) si usava fare le foto con la classica macchina con il rullino, quindi se avevi un pochino di occhio non mozzavi le teste ed evitavi lo sfuocamento da ubriaco era un gran successo, ma lo scoprivi solamente quando estraevi le foto dalla busta del fotografo che te le sviluppava.

Adesso siamo tutti Helmut Newton, Man Ray, Oliviero Toscani e Letizia Battaglia.

Quello che loro creavano con l’arte assoluta dei loro occhi, con il loro stile, noi lo ricreiamo con i milioni di filtri. Si è coniato anche il termine “instagrammabile”, che si riferisce ad una fotografia creata ad hoc per comparire degnamente nei vari profili.

Abbiamo raggiunto la perfezione estetica, che io considero l’oblio della realtà. Perché limare le rughe, il naso, snellire e cambiare colori agli occhi? Tu non sei così…ti tocca cambiare nome al profilo!

Ognuno è comunque libero di fare ciò che vuole con la propria immagine, e se è una cosa che dà sicurezza ben venga, ma poi quando ci si incontra, la magia svanisce in un battito di ciglia finte.

Si scherma qualsiasi cosa ormai: purtroppo anche i sentimenti che passano quasi esclusivamente dal telefono, dai messaggi, dai vocali e perdono intensità, sbiadiscono.

Consegnamo i nostri batticuori filtrandoli attraverso uno schermo asettico e impersonale, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Non è così. Non lo sarà mai!

Cuoricini, faccine e siamo apposto, mentre il nostro cuore, magari, vorrebbe sentire ancora quella botta di adrenalina che ti ricarica e non leggere: “ti amo anch’io ❤”.

Lui, il signor Cuore, vuole fatti, vuole abbracci, vuole pelle d’oca, mica robe sintetiche e sterili.

L’intensità dei sentimenti va vissuta, che sia amore o odio, che sia rabbia o felicità: mi sembra che ‘sto telefono ci abbia relegato in un sottoscala, dove tutto ha solo toni di grigi senza nemmeno un picco estremo di colore.

Sfiltriamoci, e per la prima volta guardiamoci bene nelle palle degli occhi e ricoloriamo tutti i cuori anemici di un bel rosso sangue!

“La fotografia è un esercizio di osservazione e il risultato è sempre un colpo di fortuna” Isabel Allende

La protagonista del mio libro, Penelope, ha molta attinenza con l’anemia sentimentale…l’ha inventata lei in una certa maniera. Vi lascio il link per il preordine:

https://bookabook.it/libro/quando-le-lacrime-si-confondono-con-la-pioggia/

Aborto? Silenzio, parlano gli uomini…

Immagine personale

Giovedì sera, in una trasmissione delle reti di cui paghiamo il canone, e che io non ho mai guardato per ovvi motivi (Porta a porta) hanno parlato di un argomento delicato, difficile: l’aborto.

I cinque ospiti presenti in studio, più uno in collegamento erano tutti uomini, e la foto dello studio con questa scritta “ABORTO” a caratteri cubitali con la parata di uomini seduti dietro è diventata virale.

Non spenderò neanche una parola per commentare questa triste pagina di “messaggio sbagliato e orrendo”, ma nella mia memoria si è aperto un cassettino datato 1976 dove, una situazione analoga viene denunciata da una delle due ospiti in studio.

L’argomento è lo stesso, e la donna in questione è Oriana Fallaci.

Non dico altro.

Merita la visione, e ognuno trarrà le proprie conclusioni.

Sono passati 48 anni…

Hemingway è morto…

Immagine personale

La promozione del libro mi ha catapultato nel magico mondo dell’editoria.

Un luogo non luogo a me sconosciuto con tante cose da imparare, capire e schivare.

Che cosa sto apprendendo da questa esperienza? Non so bene.

Posso dire di aver conosciuto persone fantastiche che hanno iniziato ad interessarsi a ciò che scrivo, altre da cui stare a debita distanza, ma come gira e funziona l’editoria è un mistero.

Ho sempre avuto questa visione poetica e romanzata dello scrittore: una persona schiva, con fogli di carta e penna che seduto ad un tavolino del bar osserva l’umanità che passa, che pulsa di vita, e da qui ruba personaggi e storie.

“Festa mobile” di Hemingway, mi ha dato questa fotografia in bianco e nero, mentre nel terzo millennio avere un libro da pubblicare diventa una progettazione a tavolino fredda e calcolatrice.

Nel mio caso specifico non lo è stato: ho la mia campagna di crowdfunding e una volta finita, è finita, ma se vuoi inserirti nella filiera editoriale devi sottostare a regole ben precise o autopubblicarti.

Pensavo che bastasse avere amore per la scrittura, scrivere e pubblicare, ma non è così. Nel mezzo, tra la parola “fine” e la pubblicazione, c’è un percorso ad ostacoli da affrontare molto tortuoso.

La cosa più triste è il giudizio degli altri autori: se fai la malaugurata esperienza di iscriverti a gruppi di scrittori emergenti, amanti della scrittura, odiatori di un mondo editoriale piuttosto che di un altro, capisci che il romanticismo di Heminguay va a finire dritto dentro al cesso.

A questo punto non è sufficiente scrivere e amare la scrittura: serve anche avere un carattere abbastanza forte per non farsi scoraggiare dal giudizio e dalle offese con il preciso intento di demoralizzarti per venderti un corso di scrittura creativa, un editing, uno spazio pubblicitario, un qualsiasi prodotto per farti diventare un grande scrittore.

E un’altra riflessione: posso capire il dare consigli, suggerimenti, offrire esperienza, ma denigrare, burlarsi dell’autore e sbeffeggiarlo per cattiveria e supponenza, no…non lo accetto.

L’Italia è un paese di navigatori, poeti e …scrittori…tantissime persone che vicino al cognome aggiungono la parola “scrittore, autore”, e poi vai a leggere le loro pubblicazioni con il risultato di farti sanguinare gli occhi dalla pochezza dei contenuti e dalla prevedibilità della trama.

Il mio pensiero è diverso: non tutti hanno il dono di saper scrivere, o come dice Paola P. “una bella penna”.

Certo, ci si può lavorare facendo esercizio, scrivendo e scrivendo, ma devi avere già un qualcosa di tuo, una predisposizione, come in qualsiasi forma d’arte.

Tutto questo costruire, tagliare, uniformare, piallare non mi piace, perché è come se truccassi i visi emaciati di Schiele, o colorassi i girasoli gialli di Van Gogh di viola: non si fa, non è sano.

Hemingway è morto, e con lui la bellezza di poter scrivere senza necessariamente omologarsi agli standard dettati dal mercato.

Le librerie sono stipate di tantissimi libri, ma siamo sicuri che la quantità sia positiva o vada ad intaccare la qualità?

Bisogna fare i numeri…chi lo dice, una statistica, il mercato?

Allora, io scelgo il mio: sono il numero zero, che da solo non vale nulla ma ha infinite possibilità di uso.

“Avevo già imparato a non svuotare mai il pozzo della mia fantasia, ma a fermarmi sempre quando c’era qualcosa, là in fondo, e a lasciare che tornasse a riempirsi durante la notte con l’acqua delle sorgenti che lo alimentavano.”

Da “Festa mobile”

Il libro che ho scritto s’intitola “Quando le lacrime si confondono con la pioggia” e potete trovarlo in preordine ancora per qualche settimana qui:

https://bookabook.it/libro/quando-le-lacrime-si-confondono-con-la-pioggia/

Il libro di Simona Zilio (recensione)

Ringrazio immensamente Giusi per questa sua recensione.

Mi ha fatto emozionare sapere che la storia di Penelope e Emma possa aver fatto breccia nel suo cuore.

Quando ho scritto questo libro non avrei mai pensato che fosse così apprezzato proprio per il tipo di storia ruvida, a tratti dolorosa, quasi fastidiosa per chi, non conosce bene alcune dinamiche di quotidianità che molte volte vengono ignorate dai più e nascoste da chi le subisce.

Un grande abbraccio a http://nemesys3.blog per la delicatezza delle sue parole. 🖤

Lascio a voi la lettura e il link se volete curiosare nella pagina del preordine:

https://bookabook.it/libro/quando-le-lacrime-si-confondono-con-la-pioggia/

Ciao a tutti!!! La blogger Simona Zilio, ultimamente in fase di pre-ordine ha presentato il suo primo libro “Quando le lacrime si confondono con la pioggia”. Conoscendo la sua bravura in quanto a blogger, l’ho subito prenotato. La stessa Simona, a tutti noi che abbiamo fatto la prenotazione prima dell’editing dopo circa un mese dalla […]

Il libro di Simona Zillo

Tuttologia portami via!

Immagine personale

SILENCE IS BETTER THAN BULLSHIT!

Tuttologia: onniscienza, la laboriosa presunzione di saper tutto.

Partendo dal presupposto che non sono molto amante del genere umano, e i miei Amici (quelli con la “a” grande) si possono contare sulle dita della mano di un monco (licenza poetica rubata), purtroppo ho avuto a che fare con una specie che si moltiplica come le zanzare in uno stagno d’estate: il tuttologo.

Succede di parlare con diverse persone, perché è la vita. La socialità fa parte del quotidiano, e non ne possiamo fare a meno anche se, non siamo costretti a sopportare proprio tutto.

Il quieto vivere mi sta bene, non replicare agli sfondoni anche, ma capita sempre la giornata in cui hai i nervi scoperti, ti alzi col piede sbagliato e non riesci a stare zitta, quindi rivolti gli occhi, fai un paio di respiri profondi come una donna incinta con le contrazioni, srotoli il tappetino di yoga, posizione del fiore di loto, e parti:

– Guarda che non è così, ti stai confondendo!- con tutta la calma possibile raschiando il barile della pazienza.

– Ma cosa dici, l’ho letto su internet! Sei tu che mi dai sempre contro!-

Ora, davanti a te hai un bivio:           assecondare senza replicare dando ragione e sgranando il rosario inventi nuove parolacce, oppure imboccare il tunnel dell’autolesionismo e controbattere senza chinare la testa.

Il dado è tratto e non si può tornare indietro. Parte una sorta di tira e molla, dove tu sei il carnefice e la controparte diventa vittima del tuo sclero, perché ti fa saltare i nervi l’ignoranza con aggiunta di spocchia ed ormai è compromessa ogni regola di buona educazione.

Ho assistito e partecipato a questi “scambi di opinioni” quasi tendenti al ridicolo parecchie volte pre e post internet, ma sapete cosa c’è?

L’ignoranza o la sopporti o la sopprimi.

LA SECONDA CHE HAI DETTO!

ERON – The first Church in the world painted by a street artist

La bellezza è un concetto soggettivo e molto personale. Questo per me è suprema bellezza, pur non avendo fede, pur non frequentando chiese…graffiti is not a crime!

Questa è una delle quattro discipline contenute nella cultura hip hop: il writing. Purtroppo si pensa sempre che non sia una cosa seria, perché questo è ciò che arriva a noi, soprattutto grazie alle radio e ai video con tette e culi, alle basi orrende e ai distorsori vocali (quella è trap), ma ha fondamenta solide e un cuore legato alla ribellione che batte ancora.

Prendevi una pausa dalle brutture della vostra giornata e dedicate minuti preziosi annegando nella bellezza di chi, trasmette tramite l’arte, un messaggio chiaro e forte senza urlare, senza metterci la faccia…lasciando parlare le immagini frutto di un’esperienza pluriennale…tra il legale e l’illegale.