Se avessi la macchina del tempo…

Mi ha fatto pensare molto un post che ha pubblicato Librini, che parlava di un saluto romano di gruppo immortalato in una foto.

Fin qui, nulla di particolarmente strano: ne ho viste a bizzeffe nei libri di storia, nei documentari dell’istituto Luce, e nelle immagini di repertorio di quel periodo buio di civiltà rasa al suolo dal razzismo, dai pregiudizi, e dalla pazzia.

Il problema è che questa fotografia è stata fatta pochi giorni fa, e come se non bastasse immortalando al centro una carica pubblica dello stato.

Ogni volta che sento o vedo rimasugli di epoche terribili come la seconda guerra mondiale, la dittatura fascista, i campi di concentramento, il nazismo, e questi individui rispolverano i vecchi gesti in contesti pubblici o non prendono alcun tipo di distanze da questi atti, nel mio cervello scatta il desiderio di avere una macchina del tempo, per pigiarceli dentro e far partire il conto alla rovescia trasportandoli proprio lì, nel mezzo dei “gloriosi” anni del fascio o del terzo reich.

Vorrei proprio che provassero a sopravvivere con il regime, con il coprifuoco, senza cibo e comodità, imbottiti di regole, annullata la libertà.

Sento frasi del tipo: “Quando c’era lui…”, oppure: “Si stava bene, ha fatto tante buone cose…”, “Un grande statista!”, “L’olocausto non esiste”.

Mi viene freddo solo a pensarci.

Il gruppetto scaricato dalla macchina del tempo lo lascerei lì, con il braccio alzato a godere dei privilegi dell’epoca fascista, soprattutto per le donne relegate alla mansione di fattrici, di donne oggetto totalmente mute e rinchiuse nelle case a fare l’angelo del focolare.

I racconti che mio nonno e mia nonna mi facevano, erano sempre pochi e difficili da raccontare: quando le bombe ti passavano sopra la testa, quando l’oro doveva essere consegnato per “il bene comune” e si mangiava polenta con polenta.

A tutti ‘sti giovani che disegnano svastiche, che vanno a Predappio a salutare le spoglie di questo eroe invece, riserverei la gioia di essere deportato in un campo di sterminio.

Con la storia passata si deve necessariamente fare i conti e soprattutto fare in modo che non succeda più. Altro che smartphone e tatuaggi sulla faccia: una bella divisa con una stella del colore a seconda della stranezza personale.

Cari i miei nostalgici e simpatizzanti di una dittatura…fate attenzione sempre a ciò che desiderate!

Esprimo un desiderio


Caparezza – Cacca nello spazio

Ci sono desideri realizzabili…magari potesse succedere realmente!

Questo pezzo ha un certo sapore demenziale, una musichetta orecchiabile, ma sono sempre le parole a giocare il ruolo determinante.

Sarebbe bello liberarci di persone orrende e devastanti per tutto ciò che stanno distruggendo: politici, ricconi, dittatori e brutte persone…

Chissà se rimarrà solo un desiderio inespresso.

Vi lascio il testo, come sempre, per capire quanto ci sia di polemico, di protesta e di ribellione.

Hanno inaugurato lo spazioporto
La folla col fiato corto s’incolla
All’asfalto come un gatto morto
Guarda fisso lo shuttle
Lucido di smalto bianco
Col naso puntato in alto accanto
Alla rampa di lancio
Arriva il sindaco nel cielo
Indaco del crepuscolo rosso di lambrusco
Parla e non si becca un fischio
Tutti applaudono quando notano che
È pronto il varo con una
Bottiglia gran cuvée Laurent Perrier

Tutta la ciurma vestita di gala si incanala
Sfila per la strada che pare
La prima della Scala
Lo spazio non è il suo ramo ma
Vi si aggrappa come un koala
Tipi snob che avrei affogato
Come cioccolato nel marsala
Autorità di Lions e Rotary
Prendono posto nel Discovery
Ma è pagato dallo Stato quel pieno
Questo è osceno, non Madame Bovary
Sulla Terra è guerra tra poveri
Non c’è posto se ti ricoveri
Tre, due, uno, contatto
Parte lo shuttle con tanto d’autografi
Three, two, one contact!

Con uno shuttle stiamo mandando
Cacca nello spazio
Meglio così, staremo più larghi
Cacca nello spazio
Extraterrestri è in arrivo cacca nello spazio
Voi siete artisti, fate i cerchi nel grano
Noi cacca nello spazio cacca nello spazio

C’è un uomo di mezza età con la sua metà
Che ne ha meno della sua metà
Un amore acerbo
Colto certo nella disco a Porto Cervo
Il prelato ha pronto il verbo
Del creato è molto esperto
Dall’abitacolo caccia il diavolo ma
Ne maneggia lo sterco
Il giovane cantante rap è già nella fase REM
Sogna lo star system
Video space per la top ten
Il business man punta su Giove
Per le fabbriche nuove
Vuole fare il pieno di lavoro alieno
Da pagare meno che altrove
Il generale non ha più il fisico
È bianco e tisico
Avrebbe goduto più col Futurisiko
Uomini di stampo politico poggiano
I loro culi regi sulle poltrone con i fregi
Soliti i loro privilegi
Da lassù la terra pare una
Boccia del peso di un’oncia
Ricoperta d’acqua
Ma dalla doccia non cade una goccia
C’è chi si piglia tutto lo spazio
E chi lo piglia in saccoccia
In piedi come pendolari sui treni Bari-Foggia
Però sono contento perché

Con uno shuttle stiamo mandando
Cacca nello spazio
Meglio così, staremo più larghi
Cacca nello spazio
Extraterrestri è in arrivo cacca nello spazio
Voi siete artisti, fate i cerchi nel grano
Noi cacca nello spazio cacca nello spazio
Con uno shuttle stiamo mandando
Cacca nello spazio
Non intasiamo le fognature
Cacca nello spazio
Extraterrestri, cacchi vostri
Cacchi nello spazio
Altro che incontri ravvicinati
Cacca nello spazio

Ciao Caparezza, sono Ilaria non ci crederai
Ma ti sto chiamando
Dallo spazio! Ho saputo che
Lavori al circo niente
Volevo sapere come va ciao

Mi familia è famiglia

Grazie a Michela Murgia che sta presentando la sua famiglia queer non con pochissimi fraintendimenti, mi è venuto in mente un post che avevo scritto tempo fa sul significato di famiglia che ognuno dà alla sua.

La famiglia è vita vissuta insieme, tempo di qualità, amore incondizionato. Non mi capacito che nel 2023 si debba ossessivamente pensare al concetto di famiglia legato al sesso o al genere. Apriamo un pochino la mente e facciamoci entrare aria fresca, una ventata di nuovo e di normalità che esula da ciò che la religione o lo stato ci ha insegnato e imposto.

Si può deragliare dai binari…si può pensare in grande unendo amore e anime sotto lo stesso tetto senza dover per forza etichettarne ogni componente.

Mi Familia

Potere alla parola

Le parole, per me, sono una parte essenziale della vita: le pondero, le storpio, le invento, ci gioco ma le ascolto bene, soprattutto quando creano unite, pensieri che ti fanno trovare altri pensieri.

Spiegato il perché ascolto solo un certo tipo di rap italiano e non tutto.

Un pezzo lo riascolto fino alla nausea, perché ci sono sfumature da carpire, la metrica che ti fa impazzire da quanto è perfetta, e il tuo mondo, le tue esperienze si sentono meno sole.

“Ecco quello che volevo dire, quello che pensavo, ciò che non riuscivo a tirare fuori”.

Come sempre lascio il testo, perché il rap non piace a tutti, ma le poesie sono più assimilabili.

Poesia…come questa!

Tratto dalla colonna sonora del film “la partita” di Francesco Carnesecchi e traccia n.4 dell’album Adversus

Ho preso qualche treno, qualche nave
Qualche sogno qualche tempo fa
Seguendo un’intuizione e poi sono tornato qua
Coi miei bagagli a mano su
Per tutte queste scale
Scalciando contro il cielo
Scavando sul fondale
Senza pensare a ciò che ho perso nel tragitto
Tenendo stretto il meglio di me stesso
Che non ho mai scritto
Ringhiando al buio contro una parete
Grattando via la quiete saltando giù
Nel vuoto senza rete a picco nell’imbuto
Dritto nel conflitto perché so che si
Rialza solo chi è caduto
Noodles e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche uno sputo di ciò che non ho
Detto di quando non ho fatto
Cercando nel silenzio il mio riscatto
Chiedendo più tempo al tempo o un senso
O qualcosa che fosse vero e non
Andasse perso in mezzo a questo
Panico dove nessuno ascolta
E ognuno ha la sua recita e
Ognuno pensa alla sua svolta
Nessuno che si volta mai ad
Aspettarti e da ‘ste parti
Se ho lasciato, è stato solo per salvarci
E non tradirci e ritrovarci liberi e
Lontani da lucchetti e catenacci
Forti anche contro la corrente eh sì
Pronti a giocarci tutto sennò
La vita è niente

Noodles e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto, eh sì
Noodles e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto! E chi si ferma è perduto
Ma so che si rialza solamente chi è caduto

Ho fatto er core pietra e
Ho riempito la faretra
Perché il tempo non aspetta e non arretra
Nessuna pietas
Non vengo per nessun bottino in
Questa terra di banditi
I giorni hanno ammazzato pure i più astuti
Noodles battiti del cuore sfido la pressione
Vivendo in fretta questo tempo
E cancellando il nome
Perchè la sfida con la vita
È in mezzo alle persone
E conta quello che hai lasciato, capito come?
Vivendo e consumandomi ho perduto
Le mie tracce
Gli estranei indifferenti nelle loro facce
Col freddo della vita che toglie il respiro
Ho costruito bunker pe’ arrivà al mattino
Vivo certe volte sulle punte
Pe’ vede’ lontano
Altre volte piedi a terra per quello che amo
E se tutto fosse invano?
Gelo come Jack dentro il labirinto
Con un’ascia in mano!

Noodles e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto, eh sì
Noodles e chi si ferma è perduto
Non torna indietro neanche un minuto
Neanche un minuto! E chi si ferma è perduto
Ma so che si rialza solamente chi è caduto

I’m a Loser baby, so why don’t you kill me?

Parafrasando un pezzo famosissimo di Beck (che amo alla follia) vorrei puntare un bel riflettore sull’orgoglio di essere una perdente, perché alla fine, sono tutti vincenti e a me non piace assomigliare agli altri.

Dietro ogni angolo si nasconde chi ti punta il dito come il classico manifesto di reclutamento alla guerra britannico e ti vuole insegnare come vivere meglio, elevare il tuo status sociale, il tuo aspetto fisico e la tua anima.

Non è contemplato vivere senza essere competitivo, affossare gli altri per primeggiare è cosa buona e giusta, perché se non sei produttivo quanto gli altri…a cosa servi?

Anche qui su wp, c’è sempre qualcuno che vuole insegnarti a vivere, si improvvisano maestri di tuttologia, vogliono parlare di uguaglianza e con modestia non pervenuta salgono in cattedra e scrivono pipponi su ciò che sanno sbattendoti in faccia la loro cultura o conoscenza di qualsiasi argomento gonfiando la coda come i pavoni.

Non vi è mai passato per l’anticamera del cervello che forse, a me non interessa?

Sono stata coinvolta indirettamente (non qui) in un discorso fatto ad una persona, che sosteneva non essere colpa sua se lei fosse laureata e l’altro interlocutore fosse un semplice lavoratore da negozio.

Ora… nella mia esperienza di vita vissuta ho conosciuto svariati lavoratori, laureati, quadri dirigenti, titolari di aziende, chef, cameriere di topless bar, cubiste, pusher, mendicanti, avvocati, notai, cosidetti VIP, ma mai nessuno si è permesso di “mostrare i muscoli” tirando fuori il famoso pezzo di carta o il conto in banca.

Come diceva sempre quel saggio di mio nonno, che aveva fatto solamente la seconda elementare: “ricco o povero si finisce tutti nello stesso buco”.

Si può tornare a confrontarsi senza necessariamente far sentire gli altri delle merde, perché hai uno status sociale migliore o semplicemente perché hai avuto la possibilità di studiare?

Un pochino di umiltà non guasterebbe, e meno perfezione renderebbe tutti più umani e meno frutti maturi della pianta dei numeri 1.

Vincere è bello, ma imparare dagli errori lo è altrettanto.

Ho sbagliato tanto, sono caduta in burroni così profondi che per risalire aggrappandomi con le unghie, le dita sanguinavano, ma la mia più grande fortuna è sempre stata, che quando stavo per cedere e sprofondare ancora giù nell’oblio, una mano amica ha afferrato la mia è mi ha aiutato a risalire.

Cosa volete dimostrare affossando gli altri con la vostra saccenza? Di essere migliori?

Va bene. Lo avete dimostrato, ma è troppo facile accanirsi su chi è già moribondo.

Pensate a ciò che dite…sempre!

Contate fino a 10 e poi ricontate.

Potreste risultare più simpatici e meno “sto cazzo!”.

Apro i miei cassettini della memoria

Oggi pomeriggio, in macchina con una mia cara amica, tra una ciancia e l’altra, passano alla radio “Sunday Bloody Sunday” e mi sono calata immediatamente in terza media, seduta in banchi a ferro di cavallo con il prof. d’inglese, che entra per la lezione, e distribuisce a tutti un adesivo:

Immagine personale

Questa immagine così forte e per me incomprensibile, mi rese inquieta: per la prima volta in vita mia, venni scossa dal mio mondo di ragazzina felice.

Il professore ci raccontò con passione di questa scia di morte rimarcando una strage chiamata “Bloody Sunday”, perché un gruppo rock dell’epoca aveva scritto una canzone per raccontare proprio questa mattanza di civili innocenti.

Erano gli U2, che pubblicarono questo pezzo nel 1983 contenuto nell’album “War”.

Il nostro compito di studenti sarebbe stato analizzare il testo e leggere tra le righe.

Parole intense…difficile dimenticarle:

I can’t believe the news today
Oh, I can’t close my eyes and make it go away

How long, how long must we sing this song?
How long? How long?

‘Cause tonight
We can be as one
Tonight

Broken bottles under children’s feet
Bodies strewn across the dead-end street
But I won’t heed the battle call
It puts my back up, puts my back up against the wall

Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Alright, let’s go

And the battle’s just begun
There’s many lost, but tell me who has won?
The trenches dug within our hearts
And mothers, children, brothers, sisters torn apart

Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday

How long, how long must we sing this song?
How long? How long?

‘Cause tonight we can be as one, tonight
Tonight, tonight (Sunday, Bloody Sunday)
Tonight, tonight (Sunday, Bloody Sunday)
Alright, let’s go

Wipe the tears from your eyes
Wipe your tears away
I’ll wipe your tears away
I’ll wipe your tears away (Sunday, Bloody Sunday)
I’ll wipe your bloodshot eyes (Sunday, Bloody Sunday)

Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday

And it’s true we are immune
When fact is fiction and TV reality
And today the millions cry (Sunday, Bloody Sunday)
We eat and drink while tomorrow they die (Sunday, Bloody Sunday)

The real battle just begun (Sunday, Bloody Sunday)
To claim the victory Jesus won (Sunday, Bloody Sunday)
On Sunday, Bloody Sunday, yeah
Sunday, Bloody Sunday

Tutto quello che impariamo, che assorbiamo, ci rende diversi dal giorno prima e modella il nostro pensiero come creta.

Grazie a “Sunday Bloody Sunday” anche io sono cambiata lentamente per capire che è solo una questione di potere, religione e politica.

Sangue innocente macchierà la vostra anima!

Vergogna!

Tiriamo a campare & attendiamo la fine

Mancano ormai una manciata di giorni alla fine dell’anno scolastico e, mai come quest’anno sto bramando l’ultima campanella.

Da genitore è stato un anno difficile, complicato ed estenuante. La frase quotidiana è stata: “Oggi non è successo niente?”.

Cerco quasi sempre di usare la diplomazia, la tolleranza e minimizzare quello che succede cercando di capirne il perché è accaduto e se si può rimediare, ma quando si entra a far parte di una collettività che non si è scelta, con cui non si hanno punti di unione diventa difficile anche per il mediatore più esperto.

L’invenzione più deleteria per le famiglie?

La chat di classe.

Ho scavallato quasi indenne quella della scuola materna, per pagarla cara con la primaria.

Com’è possibile, che un canale adibito a comunicazioni insegnanti-famiglie diventi una valvola di sfogo per genitori frustrati dalla loro vita?

Accuse, scaramucce, e domande inutili vengono postate senza il minimo ritegno, senza alcun ripensamento.

Ci si vede due volte al giorno e mi domando: “se hai qualche problema con me, perché non lo risolviamo di persona?”

Si confeziona una versione errata dei fatti proprio per attaccare e litigare.

Ma una vita ce l’avete? Non è già abbastanza dura barcamenarsi tra i problemi quotidiani? Perché crearne altri?

Se solo provi a dire qualcosa, per aiutare, non per insegnare ad educare la prole, ti saltano alla gola che nemmeno un branco di lupi affamati.

I bimbi non sono più quelli di una volta plasmati da mamma tv e papà internet. L’abisso in cui stiamo accompagnando i bambini, ignari del loro punto di non ritorno, è orripilante.

La famosa ragione in tasca è un opuscolo di scuse alle proprie mancanze, di cambi di posizione quando il lavoro è finito e ha dato ottimi risultati, di accuse verso presunte azioni fatte nel loro mondo parallelo, non nella realtà.

Arranco malamente verso la fine.

A settembre si vedrà.

Per ora depongo le armi confidando nella buona sorte.

Questo è un assaggio delle chat di classe…lasciate ogni speranza a voi che entrate!

Torino sempre magica!

Per caso mi sono imbattuta in questa splendida mostra che si terrà a Torino.

Stefano Bessoni è un artista poliedrico e merita di essere celebrato. La galleria, diciamo così, è una location di tutto rispetto: la Mole Antonelliana.

Se vi capita di approdare a Turìn per qualche congiunzione astrale positiva, questa non dovete proprio perdervela.

Mi siete mancati

Il 2 giugno uscirà il nuovo album dei Foo Fighters “But here we are”. La morte di Taylor Hawkins ha segnato per sempre il loro destino sia umanamente che musicalmente.

Questo singolo ne è la prova.

Buon ascolto. Io commossa.

Movimento per la valorizzazione delle ultime volte

Facile ricordare la prima volta di qualcosa. Ma quante ultime volte vengono ricordate? Quand’è stata l’ultima volta che avete chiuso la porta di una casa che non abitate più? L’avete sbattuta o chiusa delicatamente? Avete dato un’ultima occhiata alla cassetta delle lettere? Quando avete preso l’ultimo caffè in un bar che poi avete smesso di […]

Movimento per la valorizzazione delle ultime volte

Ho ripubblicato questo bellissimo post di Walter. Mi ha scardinato emozioni e ricordi a pioggia. Grazie 🖤

Buona lettura.

My golden ten minute

Il tempo mi scivola via con la sabbia tra le dita, ma una certezza c’è sempre: nella golden hour ci sono i miei dieci minuti d’oro.

La giornata è stata dura? Ti hanno stressato l’anima ogni santo momento?

Ecco perché ho bisogno dei miei dieci minuti di pace: la sedia blu in giardino è sempre nello stesso posto, il fumo della sigaretta vola alto, le gambe sono stese un avanti, il cappuccio della felpa fa da cuscino tra la testa e il muro di mattoni faccia a vista, il bicchiere con il vino è per terra, i miei occhi fanno un bagno si beatitudine.

Cosa c’è di più bello del cielo? Vorrei proprio conoscere l’artista di quest’opera così maestosa, sfumature perfette e tutte differenti: a volte sembra ovatta, altre uno straccio sporco, o zucchero filato.

È il mio punto di non ritorno, mi ci annego, perché è così immenso, mutevole e non chiede il permesso a nessuno di cambiare in un batter d’ali.

Che sia alba o tramonto io sono lì a scrutarlo, ad indovinare le forme delle nuvole, a contare le stelle quando diventa scuro in fretta e le nuvole non si vedono quasi più.

Penso che ognuno di noi abbia un pochino di tempo dove, tutto si ferma e rimani solo tu e i tuoi pensieri…deve essere un atto dovuto, ogni giorno.

Cerchi di non farti opprimere dalle brutture e pensi a quanto di buono hai fatto, a cosa di bello ti è capitato, perché se è tramonto vuol dire che una lunga giornata è finita, ma se è alba significa che non ho dormito un granché: non è sempre brutto restare svegli se trovi, in quel silenzio, la soluzione alla tua insonnia bagnando gli occhi nel cielo che albeggia.

Non rinuncio mai ai miei minuti d’oro.

Coccoliamoci di più…ce lo meritiamo!

Io & i miei sogni incerottati

Continuo a trascinarli in giro con me, nelle mie tasche dei Moleskine, i miei pezzetti di carta con lo scotch, con parole a matita, a volte cancellate, altre sottolineate, ma non sono solo lettere e non sono solo sogni.

Le tasche strabordano di ritagli, immagini, biglietti di auguri, pezzi nastri colorati, biglietti da visita, foto, lettere scritte e non inviate, lettere ricevute e conservate gelosamente…parole di altri.

I sogni sono una cosa complicata a volte, e non sempre sono desideri. Mi capita di aver vissuto un sogno che non cercavo nemmeno e di conservarne un frammento nelle tasche.

Mi piace ricordare e non necessariamente solo le cose belle, perché anche il brutto che mi è successo mi ha aiutato a diventare quello che sono.

Il succo della vita sono proprio i sogni, bisogna averne tanti, perché sognare è gratis e nessuno può toglierteli.

I sogni sono fatte di luce abbagliante e di buio tenebroso, dipende se riesci a realizzarli.

C’è chi spara alto, magari vince ma non è soddisfatto e chi, come me, ha frammenti di sogni ogni giorno diversi, felice delle piccole scosse di vita che procurano: l’importante è averne sempre di scorta.

Ho voluto riprendere un pezzo del titolo del mio primo post scritto qua, perché l’assenza mi è servita a ripulirmi dalle scorie.

https://lowprofile790041255.wordpress.com/2021/11/26/hello-world/

Lo cosa che amo di più, da sempre, è scrivere.

Vi abbraccio tutti.

Low🖤

Sono piena rasa

Sì, sono piena rasa di tutto.

In questi mesi ho affrontato battaglie che non avrei mai pensato di affrontare.

Eppure…

Battaglie di vita, difese personali, attacchi personali e non.

Non va bene vivere così, e non mi fa bene soprattutto.

Ho bisogno di spazio, di silenzio, di disintossicarmi.

Saluto tutti con un grande abbraccio, e non so se il distacco sarà bene o male, ma ci provo, perché non ho paura di dire che sono al limite della sopportazione umana.

Alcuni dovrebbero proprio farsi una vita, altri smettere di puntare il dito e pensare a quante volte feriscono intenzionalmente perché se credono sto cazzo.

Io sono il numero zero e rimarrò tale, non ho bisogno di essere coccolata, amata o messa su un piedistallo.

Solo chi rispetta avrà pace, solo chi ama senza chiedere avrà pace, solo chi non fomenta l’odio avrà pace.

Ci sono persone che affondano il coltello nelle ferite altrui e poi lo girano per vedere quanto sangue esce, alcune aggiungono sale, perché bruci di più.

Questo mondo è diventato un posto orrendo abitato da gente orrenda che parla senza ritegno e si fa forza con la prepotenza, l’arroganza, la meschinità.

Credevo che qui fosse diverso, ma non lo è…

Errore di valutazione.

È stato bello finché è durato: una bella illusione.

Grazie a chi mi ha accettato nel mio essere come sono, commentato, confortato.

Tornerò? Chissà.

Low 🖤

Gabriele Romagnoli

Non sono una da regalare ad un nemico

Questa frase mi è stata detta spesso nell’arco degli ultimi trent’anni.

In effetti posso solo che confermare.

Il mio motto di vita è: “vivi e lascia vivere e non rompermi i coglioni”, ma purtroppo non è sempre rispettato.

La mia indole di bambina piccina, timida, introversa, biondina con occhi azzurri, ad un certo punto, è cessata di esistere ribaltando per sempre le sorti della mia vita.

So più o meno quando è iniziato il cambiamento (l’estate tra la terza media e la prima superiore), quando il mio istinto di sopravvivenza ha preso il sopravvento sulla paura di dire “no”, sulla sofferenza di essere bullizzata, e la mia testa bassa, il mio sguardo basso improvvisamente si è messo nella traiettoria di chi mi faceva soffrire: lì ho capito che potevo farcerla, che potevo rompere questo meccanismo di sudditanza.

Dagli occhi sono passata alla voce, dapprima piano piano, poi sempre più forte e la piccola Memole è diventata Ken il guerriero.

Ho smesso di avere paura, di farmi prevaricare, di farmi interrompere, di subire insomma.

Il rispetto è la base del mio modo di vivere, ma ne ho se tu ne hai per me, altrimenti ti elimino (non fisicamente) e vado avanti.

Ci sono battaglie da fare a colpi di vaffanculo, altre chiedendo il permesso di parlare, altre solo presenziando e manifestando pacificamente.

Ne ho fatte…un po’ come tutti e ne farò ancora, ma quello che non sopporto delle persone è chi fa lo scemo per non andare in guerra: tocca schierarsi, no?

Sarei potuta diventare aguzzino invece che difensore, ma è una scelta anche questa, e le sfide mi piacciono soprattutto se tutti abbandonano, perché sono troppo complicate, troppo difficili, troppo…

Perse tante, ma vinte molte.

A volte, è sufficiente essere solamente umani, mettersi nei panni di chi soffre e pensare: “Se al posto suo ci fossi stata io, mi sarebbe piaciuto che qualcuno mi tendesse la mano?”

Niente medaglie, né corone…siamo tutti uguali, tutti umani.

Restiamo umani!

Quando eravamo noi ad emigrare..

Questa storia non la conoscevo ma ne conosco tante altre analoghe come quella di Sacco e Vanzetti. La storia della emigrazione italiana è stata costellata di episodi tristi. Italiani schifati ovunque da gente razzista e ottusa. L’aspetto, la lingua, la povertà e la faccia di chi fugge dalla fame cercando una vita appena migliore li […]

Quando eravamo noi ad emigrare..

Non aggiungo altro. Grazie a Demonio🖤

Perplessa…

Penso che tutti abbiamo visto e sentito la notizia dei contestatori ambientalisti che imbrattano con vernice arancione la facciata di mattoni di Palazzo vecchio a Firenze.

Solitamente agivano nei musei coprendo di resti alimentari quadri, o meglio, i vetri protettivi di quadri abbastanza famosi.

A me la protesta non violenta piace, per dare attenzione ad un problema come quello ambientale che ci coinvolge tutti.

Danni ai quadri non ce ne sono stati, ma colpire un edificio storico che risale alla fine del 1200 mi pare una grossa mancanza di stile.

Io, che arrivo dalla cultura hip hop so che nella disciplina del writing, aerosol art, graffiti, murales (chiamatela come vi pare) c’è una regola non scritta che tutti i writers rispettano: non si fanno pezzi o tag su edifici o monumenti storici, non si deturpano o rovinano in alcun modo.

Qui, parliamo di arte come forma di protesta assoluta verso la società, verso la diseguaglianze, verso i poteri forti: solo nel caso si voglia “infamare” un altro writer, si dipinge sopra ad un pezzo, si deturpa cancellandolo o si scrivono parole come “sucker”, “toy” o si usa la propria tag sul pezzo di chi si vuole colpire.

Qui, si sta esagerando, e per questo sono perplessa, perché sono d’accordo che la vernice è lavabile e molto probabilmente andrà via, ma non capisco ugualmente.

Per visibilità? Non c’è scritto nulla di significativo che possa essere protesta. Per me è solo un rovinare qualcosa di vecchio che sta lì da centinaia di anni.

Certo, è diventato virale, come le facce di chi ha commesso l’atto.

L’ho trovato un gesto dimostrativo fuori luogo e senza senso.

Comunicazione di servizio: concorso letterario “Io scrittore”

Anche quest’anno ci sarà “Io scrittore”, uno dei concorsi letterari più frequentati: il caricamento dell’incipit deve avvenire entro il 30 MARZO ALLE 18.00 sulla tua pagina personale.

Qui sotto lascio i due post che avevo pubblicato per spiegare come funziona.

https://lowprofile790041255.wordpress.com/2022/04/07/io-scrittore-concorso-letterario/

https://lowprofile790041255.wordpress.com/2022/06/22/io-scrittore-concorso-letterario-2-di-2/

In bocca al lupo a chi parteciperà!

La Cura

Cura: Impegno assiduo e diligente nel perseguire un proposito o nel praticare un’attività, nel provvedere a qualcuno o a qualcosa.

Quanta cura mettiamo in ciò che facciamo? Alcune volte, tantissima, ma è sempre dipeso da ciò o da chi curiamo.

Pensavo a tutta la cura che ho messo nei miei scritti, nel leggere un libro, nello stuccare mattoni, nel riporre la legna, nelle azioni che quotidianamente faccio.

Ciò che faccio mi fa sentire bene, adesso sto bene. Forse perché ho trovato una sorta di equilibrio interno che mi dà la forza necessaria per continuare a farlo.

Si chiama Amore.

Per quasi dieci anni mi sono presa cura di una persona anziana, smemorata, diciamo così, e aggressiva nei miei confronti: sono sua nuora, ed è stato devastante. Adesso è in una struttura dove è al sicuro, perché bisogna sempre riconoscere i propri limiti. Non è un parcheggio, ma un posto con grande giardino e infermiere che conosciamo per nome, sorridenti e gentili.

La Cura è un cerotto con i teschi sul ginocchio di tua figlia, perché fa meno male se il cerotto è bello, è far dipingere il muro esterno di casa insieme ai suoi amici, vederli correre su file di balloni di fieno appena fatti aiutandoli a salire (anche se tu hai l’allergia), è il parchetto vicino a casa e i pantaloni verdi di erba.

Abbracciare chi soffre, lottare per ripristinare la serenità della comunità, agire invece di stare a guardare…anche questo è cura.

Dipingere un mobile per donare nuova vita, piuttosto che mandarlo in discarica, perché quasi tutto e tutti meritano una seconda possibilità.

Mi piace prendermi cura. Amo che le persone accanto a me stiano bene, siano serene e al sicuro. Sono una curatrice nata, è nel mio DNA.

Spesso, curo gli altri e mi dimentico di prendermi cura di me.

È proprio quello che mi fa stare bene? Direi di sì.

La Cura non sempre viene ricambiata, ma nel mio caso…quasi sempre.

Sono fortunata ad essere amata, sostenuta, capita.

Ma penso che la fortuna c’entri poco: se dai senza chiedere nulla in cambio, metti in moto forze benevole, scateni un qualcosa di bello, di magico.

La Cura è amore, comprensione, gratitudine per piccoli gesti.

Sono Tamarra…ma resto umile!

Sì, sono una tamarra.

Non è una cosa grave, né infettiva, ma lo sono.

Nata e cresciuta in un paese della prima cintura di Torino, il meccanismo della periferia l’ho studiato bene, vissuto a pieno in tutto il suo splendore.

La vita in periferia negli anni ’90 non era per nulla facile, soprattutto per una come me che era “diversa”: non vestivo come gli altri, non ascoltavo musica da radio, non frequentavo le discoteche, ma prendevo sempre lo stesso pullman per tornare a casa.

Questo era un guaio.

Sì, perché i gruppetti di ragazzini come me non hanno mai accettato ciò che non era omologato, uguale a loro.

Ho subìto minacce, prese in giro, a me e ai miei amici, ma anche loro vivevano in altre periferie della città quindi, eravamo “allenati” a non rispondere ed a ignorare.

Lo scontro alcune volte era inevitabile: ho visto risse di quartiere come “i guerrieri della notte” ma molto meno violente, liti partite da uno sguardo e finite a bere tutti insieme, amicizie che durano da tutta la vita.

Stare a zonzo mi è sempre piaciuto moltissimo, e così ti togli un sacco di paure dell’ignoto, del diverso, uscendo dal tuo mondo protetto.

La periferia è un micromondo, dove culture, etnie, dialetti, linguaggi, slang, si fondono e convivono quasi pacificamente.

Essere tamarri è un modo di vivere, uno stile unico.

Ciò che ti rimane più di tutto quando vai via dal quartiere è l’atteggiamento: un po’ di sfida verso tutti, diffidente, e decisamente “scantato”.

Certo, con gli anni ho perso moltissimo di quell’atteggiamento di sfida, di guardarsi costantemente alle spalle.

Può non piacerti, alcune volte farti inorridire, ma riconosci subito uno “di zona”.

…”sulla mia panchina ci sto comoda, manco fosse una poltrona”… (cit.)

Poi, c’è chi in periferia c’è rimasto e vive tutt’ora: il mio paese non è più piccolo come quando ero adolescente, le porte che prima, si lasciavano aperte, perché ci si conosceva tutti nel palazzo, ora vengono chiuse a doppia mandata e con antifurti satellitari. La mia notte serena, la strada che facevo per tornare a casa con il walkman nelle orecchie esiste ancora ma le facce sono diverse: un po’ trasferiti, qualcuno morto, altri in galera.

La “piazza rossa” (chiamata così perché dall’alto si vedeva chiaramente la forma di falce e martello) dove passavamo pomeriggi, sere, è stata smantellata da quasi vent’anni. Si era scelto un simbolo forte perché era il paese dormitorio di chi lavorava alla Fiat, per il famoso potere operaio di anni ruggenti di manifestazioni e proteste.

Foto presa dal web

Mio nonno ha fatto 34 anni di catena di montaggio, proprio alla Fiat Mirafiori…so bene di cosa parlo, di quegli anni, della lotta, di quanto fosse difficile essere immigrato e operaio.

La memoria resta: i giardinetti, le panchine, le facce, le emozioni, la libertà conquistata di essere ciò che sarei stata…ciò che sono.

Non occorre “baciarmi l’anello”, ma…

In alcune situazioni non bado a ciò che faccio…lo faccio.

Punto.

Per il bene comune, si deve obbligatoriamente mettere da parte le cagate interpersonali e lavorare insieme.

C’è sempre una persona che si accolla un carico di lavoro più degli altri, e lo fa per una sua propensione, o attitudine a gestire le situazioni critiche: quasi un leader naturale.

Mi piace affrontare i problemi a testa alta, e farlo nel minor tempo possibile. Spesso e volentieri ci metto la faccia, mi offro e dò disponibilità confrontandomi con tutti se reputo che dia una giusta causa.

Bisogna sempre, quando ci si rapporta con alte cariche e no, mantenere un comportamento consono e rispettoso, per ottenere il maggior risultato.

Molte volte, la rabbia acceca e fa più danni che altro.

Il mio carattere è abbastanza controllabile: ho imparato negli anni a non sbroccare, a lasciar parlare, a confrontarmi in maniera civile.

Da più giovane ero molto impulsiva e prendevo fuoco in un attimo poi, con l’esperienza ho capito il meccanismo per farsi ascoltare, da chiunque, senza litigare: alcune volte è impossibile avere un riscontro positivo per “la sordità selettiva” dell’interlocutore, ma nella maggior parte dei casi ci si capisce.

Sto portando avanti un progetto con genitori della classe del mio piccolo Seme per cercare di ripristinare un ambiente felice e spensierato dentro la scuola.

Non è tutto scontato e facile, ma con la Santa pazienza qualche riscontro positivo lo stiamo ottenendo, perché abbiamo trovato persone attente e ricettive ad ascoltare le nostre preoccupazioni.

Ora, senza alcun problema, mi sono occupata di scrivere e parlare, con il benestare di tutti pur non essendo rappresentante.

Non serve “baciami l’anello” ma almeno un cazzo di “grazie!” mi sarebbe piaciuto da parte di alcuni genitori.

Il minimo sindacale, eh!

Invece solo rimostranze, sentito dire, e cose riportate senza alcuna certezza di fonte, oltretutto fuori dalla scuola stile pollaio.

Mi piacerebbe dire a queste signore di farlo loro, di metterci faccia e cuore, ore del loro tempo, sentire questo e quello, informarsi, e parlare, parlare.

Le basi di ciò che stiamo facendo serviranno per dare respiro e tranquillità a tutta la scuola, ai bimbi…anche ai loro.

Bisogna necessariamente schierarsi, perché l’acqua cheta non piace a nessuno: non è necessario salire a cavallo delle barricate, ma perché le cose in questo momento nel tuo oticello funzionano tutte, non disdegnare la comunità e il bene comune rimanendo neutra, con un due piedi in una scarpa.

È un attimo che la ruota gira nel senso opposto e un uragano centri il tuo orticello.

Solo un’azione coesa e unita può avere un futuro, una soluzione definitiva e duratura.

“Chi combatte rischia di perdere, ma chi non combatte ha già perso”

Bertolt Brecht

Si fa presto a dire armadio

Una cosa di difficile uso per me è l’armadio. Sembrerà strano, ma è così.

Ho una sorta di avversione, o meglio, ci provo sempre ma i miei abiti non ne vogliono sapere di rimanerci dentro.

Mi è capitato quando vivevo da sola, per l’ennesimo trasloco, di rompere il frigorifero e siccome era completamente coperto di adesivi (aveva ormai una propria personalità) non volevo portarlo in discarica: ho smontato il motore, foderato l’interno, i ripiani, con delle stoffe avanzate ed è diventato il mio nuovo armadio.

Reparto surgelati
Porta bibite nella portiera

Affiancato a questo armadio avevo messo il classico stendino da esposizione per i capi appesi e dei cubi multicolore con le porticine colorate per il resto: lavorando per quasi due decenni nell’abbigliamento e in diversi generi, dallo streetwear al classico avevo tantissimi capi di ogni genere.

Traslocando ancora e prendendo una casa decisamente grande potevo comperare il classico armadio quattro stagioni, ma non ero molto convinta così, ne ho presi due, con due ante ciascuno da mettere nelle due camere da letto: uno per ciascuno componente della famiglia.

L’armadio vuoto è sempre bellissimo, e riempirlo per la prima volta ha il suo fascino per chi ha lavorato nel settore: diventa un’esposizione da negozio con gradazioni cromatiche nell’appeso e tutto il piegato perfettamente impilato.

Tutto perfetto direte voi.

Impossibile, per me, farlo rimanere ordinato.

Devo avere il classico rifiuto all’ordine per il lavoro che facevo: nella boutique di abbigliamento classico dove lavoravo in via Roma (centro storico di Torino), le maglie dovevano essere impilate al centimetro, in una pila perfetta, e non è un modo di dire, perché la mia responsabile usava veramente il metro da sarta per misurare la lunghezza della pila di maglie e lo spazio tra una e l’altra.

Se non erano perfettamente equidistanti, l’intera mensola era da ripiegare.

Ecco spiegata, forse, la mia avversione per l’ordine all’interno dell’armadio…

Nell’armadio ho anche un’appenderia della bigiotteria e gioielli vari, alcune borse piccine e peluche a cui sono affezionata.

Armadi o frigoriferi o stendini, la mia filosofia di acquisto non è mai cambiata: qualità nei materiali, pochi capi, possibilmente di seconda mano.

Quando ero a Torino andavo spesso al Balôn, uno storico mercatino dell’usato dove ognuno poteva vendere di tutto.

Ridiamo vita alle cose, ai libri, ai vestiti, agli oggetti…

P.s. Il frigorifero/armadio è venuto con me in altri tre traslochi diventando l’armadio delle coperte invernali per i cavalli.

Tutti senza ali

Ci sono angeli che le ali non le hanno mai avute, che non volano, ma in silenzio fanno e fanno, senza dire: nessun ploclama, zero post o foto, agiscono per aiutare, e non per saziare il loro ego ingordo.

Poi, ci sono quelli che avevano le ali e si sono spezzate a forza di botte prese nella vita, e non ricresceranno più: vagheranno senza meta, fino ad incontrare qualcuno che possa disinfettare le loro ferite.

Quelli caduti a terra e calpestati, ancora e ancora, tra l’indifferenza dei passanti: non meritano aiuto…sono diversi da me.

Chi, queste ali, le nasconde all’interno di un impermeabile camuffando l’imbarazzo di saper aiutare. Sì, perché se non sei scaltro, menefreghista e una puntina razzista, le tue ali le devi nascondere o scopriranno che aiuti i deboli, gli emarginati…e quelli puzzano, sono sporchi e dormono per strada.

Sono troppo cruda? Troppo scorretta?

Dico solo ciò che pensate “voi”, perché non avete nemmeno il coraggio si ammettere di essere merde!

Perbenisti di sto cazzo!

Parlare di emarginazione non è mai facile: in poco tempo, tra la paura “dell’uomo nero” servita a colazione, pranzo e cena da tv e web, e tutta una serie di slogan assimilabili, facili e scorrevoli hanno convinto molte persone che era così, e via con odio, diffidenza…in molto casi anche peggio.

Che cosa state insegnando ai vostri figli, ai vostri nipoti? Come vivete male nella paura di ciò che è diverso solo perché non è uguale a voi.

Sono sempre andata nella direzione opposta alla massa…non so perché, per istinto, forse?

Mi rifiuto di pensare che in ogni essere umano non ci sia più un briciolo di umanità, che sia tutto finito così…

“Fiore bugiardo”: Olmo canta con Jovanotti, Giorgia, e molti altri

Ricordando con KikkaKonekka…

Mai dire gol, pur non essendo per nulla un’appassionata di calcio è stato un mio appuntamento fisso per molti anni.

La comicità, quella vera.

Personaggi, che noi cresciuti negli anni ’90 ricordiamo benissimo!

Olmo era uno di quelli. Il video che pubblico sotto è uno dei suoi pezzi più conosciuti in duetto con parecchi cantanti.

P.s. Da questa canzone ne sono uscite molte altre ed è stato pubblicato un album di cui posseggo due copie…il regalo più gettonato per gli amanti dell’autoironia, della risata facile e della spensieratezza.

Mi Familia

Mi familia sono tante famiglie.

Mi famiglia sono molte persone.

La sabbia nella clessidra che scorre, mi fa pensare a chi c’era nel mio passato, chi c’è nel presente e chi rimarrà anche nel futuro.

Nasci in una famiglia, che a volte, più cresci e meno è quella in cui vuoi rimanere, perché non è detto sia “compatibile” con te.

Il tuo carattere si forma, gli interessi si definiscono, come il tuo credo religioso (se ne sviluppi uno), la politica, e tutto ciò che è vivere.

In teoria, dovresti fare meglio dei tuoi genitori, speranzosi che tu ottenga un buon lavoro per proseguire autonomamente e staccarti dal nido incominciando a volare.

Altre, non ci riesci.

Quante volte ti fai vedere per quello che sei? Quante volte metti le carte in tavola e le scopri tutte?

Nel mio caso molto poche, e col passare degli anni gli Amici diventano sempre meno: si diventa più selettivi, meno comprensivi accumulando un amor proprio che non ti permette di essere accondiscendente.

A dire il vero…non lo sono mai stata tanto.

Ho quasi sempre frequentato le famiglie dei miei amici: noi Bimbi Sperduti e un pochino strani siamo stati spesso invitati a pranzo, o a passare pomeriggi a casa loro, perché i genitori sapevano che eravamo bravi ragazzi.

La mia famiglia naturale, non ha mai smesso di starmi vicino, pur essendo difficile avere a che fare con me, lo riconosco.

La amo molto…quello che ne rimane, perlomeno.

Mentre quella composta dagli Amici è sempre stata la più accogliente: se non avessi avuto loro, non avrei saputo cosa significa lealtà, rispetto incondizionato, ridere fino alle lacrime, piangere e poi ridere (alcune volte, tutti e due insieme), ballare ore e ore, camminare di notte contemplando la luna (quante ne abbiamo viste insieme!), alcol di vario genere bevuto seduti su di un marciapiede o sul sedile di una macchina, o su una panchina fredda in una giornata nebbiosa, urla di rabbia, grida di gioia, i concerti (tutti quelli che ci potevamo permettere), ma soprattutto il silenzio che fa rumore.

Il “Tutto bene?” di un Amico è un bene prezioso: l’attesa è finita, ci si può liberare.

E poi c’è la mamma, che pur lontana non manca mai di sapere come va, di sgridarmi per le mie scelte mai condivise da lei, (e anche se le condividesse  l’orgoglio batte tutto) ma al mio “Pronto?”, dal tono della mia voce riesce a percepire se non sto bene. Mai assente, sempre ansiosa, però non potrei farne senza. So che succederà, è fisiologico…ci penserò quando sarà il momento.

I rapporti umani stanno diventando sempre più complicati e meno performanti. È importante avere chi ti ama veramente in un mondo arido di sentimenti: la mia ancora di salvezza.

Ho sbagliato e sbaglierò tante cose, è inevitabile. Dove so che farò sempre giusto, sarà nel dare amore, conforto, spinte di coraggio, rispetto.

La Mi Familia è bella, rumorosa e itinerante: ci si vede ad intermittenza, ma la morbosità è per gli insicuri.

Tante famiglie in tanti posti diversi, e dove vivo adesso ho famiglie acquisite e quelle trovate lungo al cammino.

Ci si separa per molti motivi, e io lascio andare, non trattengo mai…sarebbe inutile.

Mi familia è tanto.

Le strade percorse corrono parallele e poi s’incontrano.

Mi familia è casa, profumo d’incenso e tazze di tè fumanti.

Coltiviamo i semi

Come ci si prende cura di un seme per farlo diventare piantina?

Ci vuole acqua, sole, concime e premure.

La stessa cura, le condizioni favorevoli per crescere, ma soprattutto gli strumenti sono necessari per crescere un figlio.

Nell’ultimo mese, a causa di fatti successi a scuola del Seme che coltivo, mi sono interrogata un sacco su come avessi potuto “armare la sua mente”.

Odio le armi che uccidono e distruggono, ma spaccerò sempre quelle che servono per sfondare i muri del silenzio, dell’indifferenza, e dell’ignoranza.

Gli strumenti che mi hanno insegnato di più sono stati i libri e la musica: si viaggia gratis, la fantasia esplode, il cervello si allena a pensare in autonomia ed è più difficile plagiarlo.

Nel 2023, l’involuzione della specie sembra irreversibile, ma non voglio pensare che si stia vivendo per niente.

Ho trovato due libri che possono aiutare, far capire e sensibilizzare non solo il Seme di casa. Solitamente la maestra legge i libri che portano i bimbi a scuola: sono già nello zaino.

C’è necessità urgente di trattare due argomenti fondamentali per giovani menti che apprendono: il rispetto e la diversità come pregio.

Sinceramente?

Non avrei mai pensato di dover comperare dei libri con questi due titoli, perché sia tutto ben chiaro e l’insegnamento che parte da casa, non venga completamente disintegrato dentro le mura della scuola.

Ci riuscirò a mantenere i valori insegnati.

Il problema nasce dal menefreghismo degli altri. Non è protezione eccessiva, ma sono regole di vita che cozzano prepotentemente con la realtà della verità assoluta che entra a far parte del mio quotidiano: tuo figlio picchia? Non è colpa sua ma degli altri che lo istigano. Insulti e prese in giro gratuite? Era per ridere.

Qui, l’unico che ride è chi si rende carnefice del più timido o debole.

Non lo accetterò mai.

Immagini & Musica

Mi capita spesso di associare delle immagini alla musica che ascolto. In questo caso specifico ancora di più, perché ho amato il film quanto il pezzo.

Raccoglitrice di Bimbi Sperduti

Peter Pan è uno dei racconti da bambini più belli, per me.

L’isola che non c’è è un mondo a sé, dove tutti i bimbi sperduti, che hanno deciso di non crescere, si rifugiano e Peter, nella figura di “adulto” (non troppo) particolare cerca di mantenere la fantasia degli abitanti aggiungendo qualche piccola regola per non creare attriti e dissapori.

I ricordi, alcune volte m’investono…è sufficiente trovare una foto o un flyer dei tempi andati.

Abitando da sola per molto tempo, ed essendo stata la prima tra tutti i miei amici ho proiettato, involontariamente, questa storia nella mia casa diventando io stessa Peter Pan.

La mia piccola casa era il rifugio per i Bimbi Sperduti, che hanno deciso di continuare a crescere, trovando riparo da me a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Alcuni avevano le chiavi, altri suonavano  il citofono e salivano senza bisogno di grandi motivazioni.

Accoglievo tutti, con le frustrazioni della vita, con il mal di vivere, nei momenti bui, ma anche quando c’era da fare festa: un punto da cui partire per far serata, dove mangiare, dove ascoltare musica o guardare film e parlare, piangere, ridere e farsi abbracciare.

Non ho perso questa propensione nemmeno quando mi sono trasferita: ho solo ampliato il bacino di persone.

Tutti dovrebbero avere un posto sicuro dove poter morire e rinascere, dove piangere senza nascondersi, dove abbassare difese e filtri.

Il brano che metterò qui sotto fa parte del concept album “Sono solo canzonette” di Edoardo Bennato (non è un artista che seguo) che parla di Peter Pan. Sono legata a questo album, perché ho fatto la mia prima stagione in un villaggio turistico a 14 anni e gli animatori stavano preparando uno spettacolo su Peter Pan e questa era la colonna sonora.

Se si ascoltano attentamente i testi parlano di libertà, rivoluzione…proprio come piace a me.

La quiete dopo la tempesta

Questa è stata una settimana difficile per me.

Una settimana di lotta, riflessioni e prese di posizioni nella salvaguardia della libertà di essere ciò che si desidera essere.

Dopo la tempesta, c’è necessità di calma, e di allontanarsi dalle macerie di ciò che si è abbattuto.

Di lottare per chi è senza voce e non può difendersi non smettero mai, ma oggi pausa…ricarico le energie per la prossima battaglia.

Buona giornata guerrieri!✊️

Santa inquisizione per “sentito dire”

Mi chiedo sempre, se bisogna avere per forza un’opinione su tutto e tutti.

Quanto pesa il nostro giudizio sugli altri? E perché è necessario farlo? Non si può semplicemente tacere?

Ci sono state campagne diffamatorie fatte per un pettegolezzo, che hanno annientato persone, che per la cattiveria di uno, in primis, e successivamente la cattiveria di molti, hanno perso la propria identità, fiducia e amor proprio.

Nessuno pensa mai ad immedesimarsi nella persona che si cerca di distruggere?

Eppure, almeno una volta nella vita avrai subìto, ti avranno ferito e continuato a farlo.

Come si diventa da vittima a carnefice?

Non me lo spiego.

“Calzini spaiati” da tutta la vita

Oggi è la giornata internazionale dei calzini spaiati.

Nata da un insegnante di un scuola friulana ricade il primo venerdì di febbraio.

Il perché è molto semplice: fare in modo che vengano accettate le diversità di ognuno, per far si che non siano un difetto, ma un pregio.

Infatti, stamattina davanti a scuola i bimbi e le insegnanti hanno indossato i calzini di diversi colori e fantasia per sensibilizzare proprio loro, i nostri adulti del futuro.

Non sono mai stata una che badava al colore dei calzini avendo un cassetto disordinato agguantavo il primo paio che trovavo.

Ora, che questa cosa ha un valore aggiunto, porto con onore i miei calzini spaiati…

I miei calzini spaiati

Serena Dandini – La vasca del Führer

Il primo libro di quest’anno è stato proprio “la vasca del Führer”.

Quando è uscito, qualche anno fa, e come mi capita spesso, sono rimasta ipnotizzata dalla copertina: comperato senza sapere bene di cosa parlasse e per immenso rispetto verso Serena Dandini.

Già dalle prime pagine capisco, che non sarà una storiella leggera e spensierata.

L’immagine della copertina non è perfettamente uguale alla fotografia scattata da un collega di questa straordinaria donna,perché la foto e il fatto sono successi davvero.

Questa è la foto originale

Il libro inizia proprio con la descrizione di questo bagno, e del motivo per cui, Lee Miller, si è lavata proprio nella vasca del Führer.

Il racconto fatto è un omaggio reale, forte, che la scrittrice ha romanzato. Una vita fuori da ogni schema, perché Lee, li ha rotti tutti…uno per uno.

Partita da una cittadina di provincia adagiata sul fiume Hudson ha scalato il mondo e bruciato le tappe di ciò che non esisteva nemmeno come pensiero: la libertà di essere donna e fare ciò che era solo riservato agli uomini.

Parliamo di un periodo compreso tra gli anni ’20 e e gli anni ’50 e capite il mio stupore nel leggere le sue gesta.

Grazie alla sua bellezza, ha iniziato a lavorare come modella per “Vogue”, ma questo non era abbastanza.

Suo padre era un grande appassionato di fotografia e fin da piccola la ritraeva nuda e senza il minimo tabù da parte di entrambi: non c’era nulla di malevolo in questo. Oltre a posare per lui, ha anche imparato ad usare la macchina fotografica ed a sviluppare le foto con grandissima passione per lo strumento.

Il suo arrivo a Parigi e la sua grande avvenenza mescolata alla sua intraprendenza la rendono una donna corteggiata ed amata da molti.

È stata musa e amante di Man Ray da cui carpisce ogni segreto dietro la macchina fotografica. Lui impazzisce per lei, ma non si possono tarpare le ali alle farfalle e lei vola via.

Conosce Picasso che le dedica un quadro diventandone amica insieme a Max Ernst, Jeans Cocteau.

Lei è surrealista senza saperlo e passa estati con gli amici in case dove si pratica amore libero e nessun tipo di freno inibitore.

Purtroppo la guerra, che era solo un alito di vento, li coglie impreparati e quando capiscono che il conflitto non è così lontano, Parigi viene devastata dal conflitto.

Sarà la prima fotografa donna ad entrare, dopo la liberazione, nel campo di concentramento di Dachau ed a documentare con la sua inseperabile Rolleiflex, ciò che il mondo non aveva il coraggio di guardare.

Due fatti mineranno per sempre la sua vita: lo stupro avvenuto da bambina, mai risolto con le terapie adeguate, e l’entrata a Dachau.

Un libro che consiglio a tutti, perché la memoria non venga persa, perché Lee Miller deve essere ricordata.

Letta l’ultima riga del libro, mi sono domandata come abbiamo fatto a retrocedere così tanto nei diritti umani, in special modo quelli delle donne. Se in quegli anni erano già stati scardinati i princìpi in cui il genere femminile aveva libertà d’azione, come siamo tornati alla donna casa-figli-focolare?

Power de che?

Facendo la chiacchieratina mattutina con Paola, ha risposto ad un mio post di ieri con la frase che ho messo nel titolo.

Ovviamente, mi si è aperto un cassettino della memoria, perché la tua crescita determina quasi sempre da che parte ti schiererai.

Il mio primo concerto è stato proprio quello dei Public Enemy e Antrax a quattordici anni, e “fight the power” bandiera di una vita devoluta a questo.

Ingiustizie, vessazioni verso chi non aveva strumenti o possibilità di difendersi…non mi sono mai girata dall’altra parte o fatto finta di niente.

Non potevo…non posso!

Questo pezzo è uscito nel 1989, come singolo e colonna sonora di “Fa’ la cosa giusta”, un film storico per chi entrava nel mondo dell’ hip hop, poi successivamente inserito nel loro terzo album “Fear of a black planet”.

Lo so, il rap non piace a molti, ma questo video ha della storicità importante: è il proseguo della lotta civile degli anni ’60.

…quando ancora si lottava!✊️

È colpa della mamma?

Ho rubato questo titolo da una serie di Sky, che analizzava alcuni serial killer e il loro rapporto con la mamma: in parecchi casi, le devianze e le morbosità materne hanno contribuito alla carriera del figlio.

Bene!

Detto questo, inizio col dire di non essere troppo preparata sull’argomento, perché pratico la professione h/24 solamente da qualche anno, ma ho necessità di fare un pochino di chiarezza, perlomeno nel mio cervello.

Da neonato, cresci tuo figlio con le tue convinzioni, gli ideali, l’alimentazione che reputi migliori per lui, in collaborazione con le linee guida del pediatra cercando aiuto e consigli dalle nonne, dalle zie e da tutte le donne che gravitano all’interno della tua vita.

Il primo contatto con un altro mondo è sicuramente il nido, e la scuola dell’infanzia dove cozzi con un microcosmo che non ti appartiene, ma cerchi di fare del tuo meglio per inserire il pargolo, ma ci entri anche tu.

Vi presento il magico mondo delle mamme: un universo parallelo a quello reale.

La scuola dell’infanzia è una sorta di allenamento a quello che succederà alla primaria. Innanzitutto, non è per nulla facile pensare che, quasi tutto quello che hai insegnato al piccolo esserino, verrà spazzato via e raso al suolo dagli altri nanetti, dagli insegnanti e dalle convenzioni sociali.

Ci si adatta a tutto per sopravvivere, per avere un posto nella società e imparare a socializzare, ma su alcune cose è difficile cedere il passo.

Ciò che mi disturba maggiormente dell’ingranaggio scolastico è che la semplice regola “la mia libertà inizia dove finisce la tua” non viene minimamente presa in considerazione dai bimbi…figuriamoci dai genitori.

Tuo figlio disturba, morsica, azzanna, urla, picchia e si dimena?

…sono bambini.

Interrompe la lezione, parla sopra gli altri, ti fa cadere intenzionalmente, ride di te, ti fa sentire inferiore solo perché urla di più?

…eh, ma è compito delle maestre educare.

Mi ricordo benissimo com’era ai miei tempi andare a scuola: più o meno come adesso, perché i bulletti esistevano, i maleducati pure, ma la sottile differenza (nemmeno tanto) erano i genitori.

Innanzitutto, la maestra era una figura che doveva essere rispettata, a cui si dava del “lei”, e ciò che diceva era legge per grandi e piccini.

Non parlo delle punizioni corporali, ma del rispetto e del timore che si aveva delle note e del preside. Si, perché erano guai seri se si tornava a casa con un richiamo scritto.

Nessun genitore metteva in discussione il giudizio della maestra o del professore…mai, e per nessun motivo.

Le lezioni erano silenziose, perché c’era l’intervallo per scaricare lo stress.

Mi sono trovata in situazioni ai confini della realtà, in un mondo dove, le mamme difendono a spada tratta i pargoli e non sentono ragioni, anzi non è il loro figlio, ma bensì il tuo ad aver detto o fatto…

Poi ci si lamenta se gli adolescenti sono insoddisfatti o non sono felici? Facciamoci delle domande precise su cosa o chi scaturisce questo senso di sazietà verso la vita, questo sbeffeggiamento verso l’autorità, ma non parlo di forze dell’ordine.

Ciò che alcune mamme non hanno ben chiaro è la netta scissione tra l’essere madre e l’essere amica. Ho sentito pronunciare parole come rapporto simbiotico, dove i figli diventano surrogati di fratelli mai avuti o peggio di mariti (senza la sfera sessuale, ovviamente).

Quello che ho capito fin ora è che il bambino è come un piccolo seme di una piantina speciale: troppa acqua o troppo concime lo fa morire, troppa protezione lo fa seccare. Necessita di cure, indubbiamente, ma tenerlo sotto una campana di vetro non va bene, ma nemmeno lasciarlo in balia degli elementi.

Il ruolo della madre dovrebbe essere di presenza, di aiuto nelle difficoltà quotidiane, di ascolto, ma senza soffocare il piccolo: accudire non significa necessariamente imporre la tua volontà come fosse l’unica legge esistente, altrimenti si rischiano frasi del tipo: “stiamo crescendo insieme”, perché prima o poi il cordone ombelicale va reciso.

Io mi metto perennemente in discussione. Per me, è un ruolo difficile e complicato, e non si può plasmare il figlio come vorresti che fosse, o come avresti voluto essere tu.

Devi essere consapevole che il piccolo ha un suo carattere, idee ben precise che spesso cozzeranno con le tue, e soprattutto, in un qualsiasi scontro, non sono sempre gli altri ad aver torto.

Quando succede qualcosa a scuola che mi viene raccontato (un torto subito, uno spintone, un urlo troppo aggressivo) chiedo sempre: “…e tu cos’hai gli hai fatto?”, perché non penso che esistano bambini buoni o cattivi, ma solo emozioni variabili e reazioni imprevedibili.

Questo continuo giustificare comportamenti sbagliati, equivale a non vedere che TU genitore stai mandando tuo figlio nella direzione sbagliata: quella dell’uomo che non sbaglia mai perché IO ti ho cresciuto bene…

…e IO non sbaglio mai.

La mia strada scolastica è ancora lunga. Come madre sarò sempre più nell’ombra man mano che crescerà per rendere questa piantina forte e indipendente. Non smetterò mai di proteggere ed accudire, ma alcune volte senza dire o fare nulla, perché gli sbagli vanno commessi e il silenzio, a volte, guarisce più di mille parole.

La fortuna di essere nata in questa parte di mondo

La campagna elettorale, finalmente sta volgendo al termine e domenica si voterà.

Sinceramente, mi sto intossicando il sangue a sentire dichiarazioni di politici e di politologi dell’ultima ora ovunque, che dicono la loro senza sapere o pensare mai agli altri.

“Aiutiamoli a casa loro”, “se la sono cercata”, “vengono a casa nostra a rubarci il lavoro”, “fermiamo l’immigrazione”, “rimandiamoli indietro”.

Ogni volta che sento frasi del genere non posso fare a meno di pensare alla mia fortuna: essere nata in questa parte di mondo, dove vige libertà, non c’è la guerra e la miseria.

Per miseria intendo non avere nulla da mangiare o un tetto sulla testa, che non confondo con il non possere l’ultimo modello di cellulare, o una televisione da settemila pollici o non poter fare le vacanze.

Tutto questo odio verso persone che arrivano su dei barconi, mentre un accoglienza con le fanfare verso chi scappa dall’Ucraina non mi sta bene per niente.

Guerre aperte nel mondo ce ne sono da decenni, ma sembrano inghiottite nell’oblio.

Forse, ci si è dimenticati di non essere discendenti puri di famiglie abitanti il medesimo luogo dove si è nati, di essere tutti immigrati…

Quindi, sì, la mia fortuna è non aver mai conosciuto la guerra, la fame, la paura di essere rastrellata, rapita e torturata, o venduta come sposa bambina, schiava sessuale.

Sento l’odio delle persone salire man mano che i politici si scontrano, perché le promesse delle campagne elettorali sono sempre le stesse, ma in queste elezioni ci si è incattiviti dando priorità alla protezione della “gente perbene” contro tutti.

I cattivi siamo noi, e non loro, le persone che muoiono in mare sono loro, i fortunati siamo noi e non loro.

Come ho detto spesso, sono atea, ma mi domando come tutte queste persone perbene, che abbracciano la religione cattolica basata proprio sull’umiltà, sulla misericordia e sulla carità possano dire cose abominevoli e guardarsi allo specchio senza sputarsi in faccia.

Tutto ciò che abbiamo a disposizione come l’acqua potabile, una casa calda e accogliente, un lavoro che ci permetta di vivere, parchi giochi per i nostri figli, un’istruzione e la possibilità di cure quasi gratis, la possibilità di abortire, di divorziare, il diritto di voto sono conquiste, segno di civiltà, di evoluzione.

Sono diritti acquisiti, che io ho dalla nascita, ma che uomini e donne hanno conquistato con la lotta, con le manifestazioni, morendo per garantire tutto ciò

La nostra memoria è troppo breve.

In Italia non è sempre stato così…ma potremmo tornare indietro in un attimo.

Sento sempre un sacco di lamentele su tutto, ma poi penso a chi non ha nulla, nemmeno la libertà di lamentarsi…

Il mio senso per estetica & riciclo

“Il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore”.

Pier Paolo Pasolini

Da piccola passavo i pomeriggi del dopo scuola dai nonni, e mi ricordo quasi tutto del loro regno in condivisione: il nonno era il re del giardino, dell’orto e del garage dove teneva gli attrezzi in ordine maniacale, mentre nonna era la regina incontrastata della casa e dell’orto, ma i fiori erano solo e unicamente scelta del re.

I gesti lenti, la sapienza nelle loro abilità e attitudini li rendeva completi, unici.

La prima cosa che ho imparato dal nonno è il senso dell’estetica, con la mia consueta cromoterapia nel periodo di fioritura: passavo in mezzo al giardino sugli stradellini di mattoni e venivo invasa dalle sfumature di ogni petalo, dal profumo delle rose, da quello dei mughetto a maggio, dai gigli bianchi alti come me. Non c’era nulla che stonasse, tutto era armonico, l’orgoglio di mio nonno!

Mi sembrava di stare nel giardino di “Alice nel paese delle meraviglie”.

L’olfatto, invece, veniva lusingato da mia nonna, abile cuoca, che negli anni ha prodotto una cucina fusion tra quella veneta e quella piemontese con contaminazioni sarde: la sua torta paradiso alta come un mattone e soffice come un batuffolo di ovatta non l’ho mai più mangiata…

La sua casa era uno specchio, ma aveva anche altre abilità creative: dai piccoli rammendi, ai ricami con uncinetto o punto croce, al lavoro a maglia, e alcune volte “smontava” capi di lana che non servivano più ricavandone gomitoli (di solito li facevo io) per farne coperte.

Una sua coperta è dentro la mia cassettiera in legno.

La frase: “Lo tengo perché può servire” l’ho sentita centinaia di volte mentre nonna piegava i sacchetti del pane o lavava le scatole di plastica della ricotta, e di come un piatto vecchio diventava un sottovaso, o una ciotola per il cibo dei gatti.

Ovviamente, questa regola non scritta si applicava anche in casa con i miei genitori, che dopo aver usato un tal oggetto, lo portavano dai nonni per una seconda o terza vita.

Lo spreco non era minimamente considerato, e tutto godeva di vita longeva, perché chi cresce senza grandi patrimoni s’ingegna, non può permettersi di buttare nulla.

Alcune volte le cose che si ricavano da altre non sono bellissime all’occhio, ma se sono funzionali, perché cambiarle?

Basta usare la fantasia, senza spendere grandi cifre.

Tutto questo buttar via non lo concepisco…stiamo solo intasando discariche, inquinando tutto per un vezzo, per avere cose senza possederle veramente.

Certo, non si può tenere proprio tutto, ciò che è non riparabile deve essere buttato, ma non per strada, nei fossi…maledetti!

Diamo valore agli oggetti e facciamo in modo di trattarli con cura, e non con frasi: “Tanto costa poco, e se si rompe ne prendo un altro”. Sicuramente, la qualità delle cose è calata notevolmente con la produzione in serie, ma vuoi mettere comperare un maglione da un artigiano o in un grande magazzino?

Il prezzo sarà nettamente superiore, ma la durevolezza sarà maggiore.

Il consumismo è la tomba della cura per gli oggetti, perdendo il senso dell’unicità, del tempo impiegato per costruirlo, della passione intrecciata con il materiale usato.

NON SPRECATE! RICICLATE & RIUSATE!

“Tu sei il consumista perfetto. Il sogno di ogni gerarca o funzionario della presente dittatura, che per tenere in piedi le sue mura deliranti ha bisogno che ognuno bruci più di quanto lo scalda, mangi più di quanto lo nutre, illumini più di quanto può vedere, fumi più di quanto può fumare, compri più di quanto lo soddisfa”.

Michele Serra

Morboso, Inopportuno

Ho letto da poco un post di Nadia, Evaporata, per intenderci, e non posso proprio passarci sopra!

Non avete nessun ritegno.

Mi vergogno io, per voi. Le chiedo scusa io, per voi.

Ognuno ha le sue crisi, problemi, dolori, cicatrici che continua a sfiorare seppur rimarginate: da alcune cose non si guarisce, ma si può stare un pochino meglio.

Il percorso che ciascuno intraprende non sempre è dettato dal proprio volere, e quindi dobbiamo andare con delicatezza  senza essere inopportuni.

Un’altra cosa che si deve assolutamente smettere di fare è giudicare: ma chi sei? Sto cazzo?(Scusate il francesismo, ma ci vuole)

Minimizzare lo stato d’animo di una persona è da idioti, perché oltre ad essere invadenti, si rischia di inclinare maggiormente lo stato della persona che è già fiaccata dalla sua vita, dal suo passato che tormenta ogni singolo minuto della giornata.

Penso che ognuno di noi abbia un punto cieco, un lato oscuro dove non vorremmo far entrare nessuno, figuriamoci parlarne con dettagli richiesti, con degli estranei.

C’è una parola che racchiude il rispetto per gli altri, ed è silenzio.

Guardatevi in casa vostra, e se proprio non ce la fate invertite i ruoli: a nessuno piacerebbe vivisezionare la propria vita per la curiosità altrui, rivivere il dolore.

Impariamo dagli animali, che non chiedono e donano amore incondizionato senza pensare, senza chiedere, senza far soffrire.

A Nadia 🖤

A testa alta!

Mancano una manciata di giorni alla fine dell’anno, e ognuno di noi ha riti scaramantici per buttare il vecchio accogliendo al meglio il nuovo anno.

Non tutti, eh! C’è anche chi tra 31 e 1 non fa neanche una piega e prosegue un giorno dopo l’altro senza fare attenzione, se non fosse per il cambio di calendario o agenda.

Io sono una via di mezzo, ma quest’anno mi concentrerò di più del solito sulla chiusura del 2021.

Molte cose non mi sfiorano, altre le ignoro, ma quelle persone che ti inquinano l’aura vanno proprio eliminate.

Partirò dal solito giro di rubrica del telefono lasciando i numeri utili e indispensabili, cancellando senza pietà il resto.

Mi dispiace essere così drastica, ma la vita lo è.

Chi non ha avuto riguardo dei miei sentimenti, chi mi ha usato e poi accantonato, chi cospira alle mie spalle senza nemmeno troppo “alle mie spalle” è da togliere. Certo, sono stata stupida io a voler sempre dare un alibi, una motivazione a comportamenti poco corretti, a fare della beneficenza, ma poi torno nella mia e fine.

Nel mio piccolo mondo privato, fortunatamente, ho chi mi vuole bene e da tanto tempo.

Non c’è sicurezza più importante per me!

Se tutti eliminassero le loro scorie ristagnanti nell’anima, e senza troppi giri di valzer inutili, si risparmierebbero dei grandi mal di testa e zavorre che appesantiscono le giornate.

Senza rancore, eh! Qui non sei più persona gradita: trovati qualcun’altro a cui accollare i tuoi problemi sperando che te li risolva, rubare tempo e energie altrui, sparlare di tutti credendo di essere super!

Gli ultimi dieci anni sono stati camaleontici, a sprazzi ridicoli, terrificanti e divertenti, ma il 2021 è stato diverso per me: lento, introverso, timido, a volte impacciato…non è mai partito, come fermo in discesa.

Non ho aspettative di nessun genere verso l’anno che verrà e ho solo una certezza: sarò pronta, qualsiasi cosa succeda e affronterò tutto a testa alta!

Liste dei buoni propositi mai compilate: tanto non li mantengo. Il nome del mio blog è la mia filosofia di vita: basso profilo e soprattutto “volare basso e schivare i sassi”, sempre.

…COMUNQUE VADA SARÀ UN SUCCESSO!

Covid & tutti i mali del mondo

Inizio a stancarmi di questa tiritera.

Il covid è diventato un alibi veramente troppo comodo per giustificare le peggio porcate fatte un po’ da tutti.

Non voglio entrare nel merito della malattia, di chi ci ha creduto, vaccinato si o vaccinato no, ma di ciò che è successo dopo, con il ritorno ad una normalità quasi simile a prima.

Tengo a precisare che ognuno lo ha vissuto alla sua maniera, con i suoi mezzi, sensazioni e stress, ma secondo me…col covid non sei diventato stronzo…lo eri già prima della clausura.

Un sacco di atti violenti contro altre persone sono stati attribuiti al covid e la maleducazione in giro è un’altra attribuzione alla pandemia: tipo stress post

post-traumatico.

Non lo accetto.

Che i contatti umani siano quasi pari a zero non è dovuto a questo, che la gente sia intollerante idem, quindi smettiamola di dare colpe a cose astratte e ridimensioniamo le parole e i gesti.

Ci sono state persone che hanno sofferto la solitudine, sono state investite dalla depressione, i giovani in special modo, ma tutto questo dolore non autorizza la cattiveria, l’odio, l’essere irrispettosi verso gli altri.

I reparti psichiatrici pieni è la riprova che alcune persone si stanno facendo aiutare, è la prova che c’è chi capisce che nulla sarà più come prima per tutte le cicatrici che ha lasciato il covid sulla nostra vita. Tutto questo mi fa ben sperare.

Ma gli altri? Quelli che ti sbocciano la macchina e vanno via senza problemi, o ti scippano in pieno giorno in centro città e nessuno muove un dito, nemmeno un urlo, una suonata di clacson, oppure chi ti passa davanti in posta, chi non cede il posto agli anziani, chi fa del male perché si annoia, e magari litiga in coda al supermercato.

Che diritto abbiamo di rompere i coglioni? Quale diritto?

La vita è tua e ci puoi farci ciò che vuoi, e sei una merda non è stato il covid a trasformarti, altrimenti per futili motivi tutti potrebbero imbracciare il fucile e fare una mattanza.

Io le persone non le sopporto tanto, e faccio la cameriera, ma cerco sempre di avere cura e rispetto degli altri, gentilezza ed educazione: il minimo sindacale!

Prendiamoci la responsabilità di quello che siamo, e se proprio non riusciamo a diventare un pochino più tolleranti, tacciamo, portiamo avanti rapporti minimi, ma non addossiamo ad una malattia il fatto di essere fetenti.

L’insoddisfazione eterna e perpetua

Non essere mai soddisfatti, pretendere e volere sempre di più sembra l’unica priorità di questo periodo.

Parlo di cose da comperare in abbondanza, per avere un cambio d’abito quotidiano, per avere tanti oggetti da spolverare, l’ultimo modello di smartphone, una vacanza pagata con un bel finanziamento, perché altrimenti non hai nulla da pubblicare sui social e i colleghi pensano che sei un poveraccio.

Apparenza invece che essenza.

Dopo aver lavorato quasi vent’anni nei negozi di abbigliamento, scarpe, avendo avuto un negozio che poi ho venduto sono andata a lavorare in fabbrica, perché il contatto col pubblico mi ha scavato da dentro.

Serve tutto quello che abbiamo? Accumuliamo montagne di cose inutili per la smania di possedere, invece di coltivare ciò che possediamo dal primo respiro: noi stessi.

La bilancia della felicità si sposta solo con cose materiali o, con il mio amico internet, a colpi di like o followers.

Magica globalizzazione!

Nel mio armadio ho dei capi che hanno decenni, sul comodino del piccolo seme che cresco, c’è una lampada di Snoopy che mi è stata regalata quando avevo 6 anni (ne ho 46 adesso).

Amici vecchi, nuovi, libri di seconda mano, libri nuovi, ma il resto è tutto relativo.

Certo, l’economia deve girare con i nostri acquisti, ma negli ultimi decenni anche i commercianti non fanno più scorte in magazzino, perché il boom economico è finito da un pezzo e le giacenze in magazzino sono solo un peso.

Quindi, ti fa stare bene accumulare cose comperate a rate, o lo fai solo per elevare il tuo status sociale da piccolo borghese a medio borghese?

I veri ricchi investono, i falsi benestanti acquistano indebitandosi.