Mancano esattamente 22 giorni alla fine della campagna di crowdfunding in cui vi ho fatto conoscere “Quando le lacrime si confondono con la pioggia”.
I 100 giorni a mia disposizione stanno per finire e vi spiegherò cosa succederà dopo: non avendo raggiunto le 200 copie prestabilite, il libro verrà stampato o mandato in versione e-book solo a chi ha fatto il preordine a dicembre.
In questo lasso di tempo il romanzo verrà editato da Bookabook, stampato e spedito.
Non ci sarà alcuna distribuzione nelle librerie e sparirà (almeno per un po’).
I diritti del mio libro torneranno a me è sarò io a deciderne la sorte.
Quindi, se vi ha incuriosito, se vi ha toccato particolarmente e siete indecisi, avete 22 giorni per pensare se preordinarlo o no.
Non è una spinta ad acquistarlo.
Faccio chiarezza, come sono abituata a fare.
Ringrazio tutti quelli che si sono addentrati nella lettura della bozza non editata, che ho messo a dispozione dopo il preordine, chi mi ha dato fiducia e lo leggerà a dicembre, chi si è fatto intrigare, e chi si è sentita un po’ Penelope e a volte Emma.
Torno indietro veloce e scorro tutto quello che ho fatto.
Parole con musica che profumano di vita vissuta, senza sprecare nemmeno un minuto…
Ho preso qualche treno, qualche nave Qualche sogno qualche tempo fa Seguendo un’intuizione e poi sono tornato qua Coi miei bagagli a mano su per tutte queste scale Scalciando contro il cielo, scavando sul fondale Senza pensare a ciò che ho perso nel tragitto Tenendo stretto il meglio di me stesso che non ho mai scritto Ringhiando al buio contro una parete Grattando via la quiete Saltando giù nel vuoto senza rete A picco nell’imbuto Dritto nel conflitto, perché so che si rialza solo chi è caduto Noodles, e chi si ferma è perduto Non torna indietro neanche un minuto Neanche uno sputo di ciò che non ho detto Di quando non ho fatto Cercando nel silenzio il mio riscatto Chiedendo più tempo al tempo o un senso Qualcosa che fosse vero e non andasse perso In mezzo a questo panico dove nessuno ascolta E ognuno ha la sua recita E ognuno pensa alla sua svolta Nessuno che si volta mai ad aspettarti e da ‘ste parti Se ho lasciato è stato solo per salvarci E non tradirci e ritrovarci Liberi e lontani da lucchetti e catenacci Forti anche contro la corrente (Eh sì) Pronti a giocarci tutto Sennò la vita è niente
Noodles E chi si ferma è perduto Non torna indietro neanche un minuto Neanche un minuto E chi si ferma è perduto Non torna indietro neanche un minuto
Eh sì, Noodles E chi si ferma è perduto Non torna indietro neanche un minuto Neanche un minuto E chi si ferma è perduto Ma so che si rialza solamente chi è caduto
Ho fatto er core pietra E ho riempito la faretra Perché il tempo non aspetta e non arretra Nessuna pietas Non vengo per nessun bottino in questa terra di banditi I giorni hanno ammazzato pure i più astuti, Noodles Battiti del cuore, sfido pure la pressione Vivendo in fretta questo tempo e cancellando il nome Perché la sfida con la vita ì in mezzo alle persone E conta quello che hai lasciato, capito come? Vivendo e consumandomi ho perduto le mie tracce Gli estranei differenti nelle loro facce Col freddo della vita che toglie il respiro Ho costruito bunker pe’ arriva’ al mattino Vivo certe volte sulle punte pe’ vede’ lontano Altre volte piedi a terra per quello che amo E se tutto fosse invano? Gelo come Jack dentro il labirinto con un ascia in mano
Noodles E chi si ferma è perduto Non torna indietro neanche un minuto Neanche un minuto E chi si ferma è perduto Non torna indietro neanche un minuto
Ho sempre amato la parola “home”: il suono e il significato, perché è diversa da house.
Tutti, bene o male viviamo in una casa: bella, fatiscente, con pochi mobili, da tinteggiare, in affitto o mutuo, con dei vicini o sperduta fra le montagne, ma a volte non è propriamente “home”.
Le motivazioni per cui un rifugio, un posto sicuro dove deporre le armi sullo svuota tasche e camminare a piedi nudi, diventa house anziché home possono essere infiniti: coinquilini insopportabili, la paura della solitudine, genitori rompipalle, insonnia da rumore, vicini discutibili.
Da quando ho lasciato la casa dove sono nata e cresciuta come scatto di crescita personale, qualsiasi scatola con tetto e mattoni è sempre stata “home”, e non potrebbe essere altrimenti.
Sento l’esigenza di poter rimanere in un posto solo se mi sento a mio agio e libera: alcune volte ci sono situazioni a cui non ci si può proprio sottrarre, quindi stringo i denti e non appena arrivata a casa mi rilasso…sono salva!
Ho uno stile non minimal, quindi per ogni trasloco fatto, la quantità di cose riportate era sempre in aumento, ma per me erano ricordi insostituibili e mi sembrava giusto che abitassero con me.
Non sono un’accumulatrice seriale, e cerco sempre di riciclare prima, e buttare poi, ma sono sempre oggetti con una storia, un passato, un ricordo di chi me lo ha regalato, dove, quando e perché. Hanno un’anima, perché è un frammento di mia vita condivisa con qualcuno di importante, che magari non c’è più o è lontano, e mi vuole bene.
Non parlo solamente di fotografie, libri o lettere, ma di piume, foglie secche, biglietti di treno o di concerti, scatole, foulard, quadri, penne, bottiglie di vino vuote, flyer di manifestazioni, perline di collane rotte in mezzo alla strada, sfere di cristallo, candele.
Lontano dagli occhi, ma mai dal cuore.
Ogni home che ho avuto da sola o condividendola è stato il porto sicuro per tutti i miei cari, non solo per me: nessuno ha mai avuto soggezione o imbarazzo acclimatandosi subito e usandola quando la vita non dava tregua, molte volte anche quando io non c’ero.
Chi ti conosce non ha bisogno di ordine maniacale e la cena pronta, ma solo di un bicchiere con qualcosa di forte e del silenzio interrotto solo dalle vostre risate o dai suoi singhiozzi o dai tuoi: toglie giacca, scarpe, armi e si lascia andare ad occhi chiusi sapendo che tu sei pronta a prenderlo senza lasciarlo cadere…
Solo per oggi e fino a mezzanotte se volete preordinare il mio libro c’è un codice sconto dedicato: MAGGIO15.
Mancano una manciata di giorni alla fine della campagna di crowdfunding e ringrazio chi sta continuando a preordinare il mio libro, chi sta leggendo la bozza integrale non editata, e mi lascia commenti gentili, suggerimenti ed emozioni personali.
Penelope & Emma ringraziano!
Vi lascio a disposizione il link per il preordine:
Da piccini, (almeno quelli della mia generazione) il deterrente più gettonato per paralizzarci e non farci fare cose era “l’uomo nero”: questa losca figura nascosta nel buio che veniva nominata da genitori e nonni ad oltranza.
Crescendo, abbiamo scoperto che non esisteva, ma qualcuno di noi ha ancora paura dell’oscurità e dorme con la luce accesa.
Traumi infantili ne abbiamo?
Trovo che la paura dell’ignoto in qualsiasi forma, per molti sia castrante, mentre ad altri dà una scarica di adrenalina talmente goduriosa da renderli dipendenti, perché è una droga potente: fu così che furono creati gli sport estremi o qualsiasi cosa pericolosa procuri quella sensazione.
In soldoni: ti puzza la vita, eh!
Affrontare situazioni nuove, prove difficili ci può spaventare, e se a questo si aggiunge la cara vecchia amica ansia, è un delirio!
Non credo ci sia una formula alchemica che possa sconfiggere l’ansia da prestazione, se non un paio di shot con dentro tequila.
Allora che si fa?
Ci si butta, anche senza rete: se va bene, si cade in piedi, se va meno bene sono facciate a terra, e ci si ritira in un religioso silenzio a curarsi le ferite.
Possiamo però giocare una vecchia carta che non passa mai di moda: la scaramanzia o le manie in ordine sparso.
La cravatta portafortuna per i colloqui, camminare senza pestare le righe delle mattonelle, aprire o chiudere le porte contando il numero di volte con cui si tira su e giù la maniglia, non salire sulle grate della ventilazione, non prendere l’ascensore, fare un risvolto alla manica di un indumento quando s’incontra qualcuno che pensiamo possa guardarci di mal occhio: a ognuno il suo!
Chi non ha un gesto scaccia negatività?
Carro funebre vuoto o pieno, gatto nero che attraversa la strada, specchio rotto, non passare sotto le scale, rovesciamento di sale o olio, ecc…
Il Sardegna viene regalato un braccialettino intrecciato di colore verde con aggancio in oro, da allacciare al braccino sinistro del neonato per proteggerlo dal malocchio.
È retaggio culturale, dipende dalle nostre origini, dalle pratiche che usavano i nostri nonni o la famosa zia, che con paroline e gesti antichi come il mondo “ti segnava” per toglierti quel mal di testa che non passava.
Tutto comunque lecito,e ci si può credere o meno, ma sicuramente male non fa e la psiche ne guadagna autoconvincendosi di essere in qualche modo schermati da quella parolina che è meglio non nominare: m…….o!
Anche la protagonista di “Quando le lacrime si confondono con la pioggia”, il mio libro, si è scontrata con uno spicchio di questo mondo. Lascio il link per il preordine:
Per tutta la stesura del romanzo il mio sottofondo è stato l’album dei Foo Fighetrs “Wasting light” uscito nel 2011. La particolarità d’incisione è stata l’uso “vecchia scuola” della registrazione analogica allestendo lo studio nel garage di casa del frontman Dave Grohl: un suono sporco, dove si possono percepire particolari incredibili, i pregi dell’imperfezione.
Non avrei mai potuto lasciare le mie protagoniste senza la musica, una colonna sonora che fa da cornice a momenti particolari della narrazione.
Un pezzo a cui sono particolmente affezionata è “Il mio dolore” dei Kina, un omaggio personale ad un mondo che ho attraversato lasciandomi segnare volontariamente.
Ecco il testo riproposto anche nel libro:
Paura di svegliarsi un giorno e capire di avere sbagliato tutto, Paura di sentirsi solo e di non essere capito paura di non riuscire a fare quello che ho in mente
Oh oh il mio dolore Oh oh il mio terrore Oh oh il mio dolore Oh oh il mio terrore
Di quello che faccio,di quello che vedo di quello in cui io credo il mio dolore di sentirmi morire nei miei sogni senza colori
Paura dentro il cuore di non riuscire più a rivedere il sole Quando è la vita che ami sopra ogni cosa ti senti dentro la morte.
Ma poi c’è bisogno di magia, di pensare e riflettere lasciando, che le parole con la musica avvolgano completamente l’aria:
La quiete dura poco, perché non sempre le cose vanno a nostro piacimento: il ritmo s’innalza e scavalca barricate.
Un testo e un titolo che non lascia nessun dubbio:
Questo, invece è un perno importantissimo, il pezzo dell’album sopracitato più rappresentativo:
…e nessuno è immune a niente…nessuno
Mancano 35 giorni al termine della campagna di crowdfunding, e se v’incuriosisce sapere cosa succederà a Penelope nel momento in cui parte la musica, vi lascio il link del preordine:
È mattina quando arrivano a Roma, e salutato Manuel prosegue verso il loft.
Nell’atrio l’attende il portiere sorridente:
«Buongiorno Signora Penelope, i suoi bagagli sono già arrivati. Ha fatto un buon viaggio?»
«No. Non voglio essere disturbata da niente e nessuno per i prossimi due giorni.»
Senza salutare, sale in ascensore desiderosa di casa. Ormai stanca, in down, spegne il cellulare, butta la borsa sul divano, attraversa la sala, e si spoglia strada facendo tuffandosi tra le lenzuola profumate di sandalo con la mascherina sugli occhi.
Dopo quasi dodici ore di sonno si risveglia con la gola secca, la bocca cementata e la testa pesante. Il loft è buio, in silenzio e la pioggia battente picchietta sulle finestre lasciandosi scivolare lentamente sui vetri. Cammina a piedi nudi verso il salone con indosso solamente una tunica accendendo candele e ceri in ogni nicchia diretta in cucina.
– Bentornata bambina mia, domani sarò da Gilda. Ti lascio frutta fresca e qualche stuzzichino. Prenditi cura del tuo corpo e sazia lo spirito. I nuovi colli sono sistemati in atelier. – Guenda
Il biglietto appoggiato sul marmo bianco è una consuetudine di ogni ritorno a casa. Pepe ha sentito spesso parlare di questa Eva, ma per un motivo o per un altro non è mai riuscita a vederla.
Smangiucchia qualche acino d’uva e taglia una microscopica fetta di tortino, ma ancora addormentata non si rende conto di aver affettato anche il suo dito. La vista di tutto quel rosso insieme al coltello le procurano una morsa allo stomaco, un flashback doloroso: il viso di lui macchiato da gocce del suo sangue. Lascia cadere il coltello con gli occhi sbarrati e le mani tremolanti cercando di tamponare la ferita con un tovagliolo. Con la mano avvolta malamente arranca verso una qualsiasi bottiglia di alcol e ne tracanna enormi sorsate buttandone un po’ anche sul taglio.
Allontana la faccia di Riccardo dopo mezzo litro di vodka.
Esce in veranda per farsi ripulire con la faccia verso il cielo, mentre le lacrime si confondono con la pioggia e lentamente lavano via ogni traccia di ricordo.
Il suo cuore va ancora all’impazzata. Pepe con una mano sulle cicatrici continua a parlarsi per cercare uno spiraglio di luce in questo lungo tunnel buio:
«È tutto passato, sei viva e lontana da lui. Al sicuro. Non ti troverà mai, non sa dove sei, l’hai sconfitto!»
Completamente zuppa d’acqua dopo dieci minuti respira normalmente ritrovando la calma, passeggia ancora un po’ per far cessare il tremore e la crisi di panico.
Rientra in casa gocciolando ad ogni passo.
Si asciuga, ma il silenzio è una cassa d’espansione per i pensieri accendendo della musica per mescolarli e confonderli.
Deve tenersi occupata.
…
Questo è il terzo estratto del mio libro: un altro tassello che serve per comporre il puzzle, un altro pezzo importante nella vita di Penelope, la protagonista.
Qui troverete il primo e il secondo estratto che ho pubblicato:
Lascio il link per il preordine dove c’è la sinossi, le prime pagine del libro, e per chi preordina ho incluso l’opzione di lettura integrale del testo non editato:
Mancano 40 giorni alla fine della campagna di crowdfunding e mi stanno tornando delle belle emozioni da chi ha deciso di avventurarsi nella lettura grezza del libro.
La prima recensione è quella di Giusi che lascio qui sotto per la lettura:
Vorrei che ci fosse un mondo dove il giorno dopo tutti applicassero nella quotidianità lo spirito di unione concentrato nella ricorrenza di ieri.
Mi piacerebbe pensare, che le parole di “Bella ciao!” continuassero a girare nelle nostre teste e scavassero solchi di memoria più longeva di un giorno, di aiuto reciproco, di unità.
L’antifascismo con cui tutti si riempiono la bocca per vari fatti successi negli ultimi giorni, e una conversazione fatta con Gabry, uno dei miei più cari amici che stimo per la sua integrità e forza di pensiero e azione, mi ha fatto riflettere molto su che cosa sia realmente questa parola nel 2024 e Gabry ha ragione: i fascisti esistono ancora…eccome!
Lui ha sempre ragione!
Basti pensare al green pass vaccinale imposto qualche anno fa, e ciò che silenziosamente a piccole dosi, un cucchiaino alla volta, ci somministrano: senza accorgercene navighiamo in un mare di merda.
Ricordo le prime manifestazioni “NO GLOBAL”, il G8 di Genova e tutte quelle grandi resistenze allo status quo.
I partigiani di oggi.
Dov’è finito tutto?
La speranza l’ho persa proprio dopo il G8, ma non ne ho mai fatto mistero, però continuo lo stesso con le nuove generazioni a far venire dubbi, a fare domande, a non dare ciò che ci vendono un tanto al chilo, scontato e giusto.
Facciamo crescere i futuri adulti con quesiti da risolvere, problemi a cui trovare la soluzione e facciamo in modo che i loro cervelli continuino a lavorare, a pensare senza fargli trovare sempre la strada più facile.
Solo così potremmo ricreare la lotta dei partigiani, che senza strumenti eccelsi hanno contribuito a liberare l’Italia.
Ecco. Liberiamoci da questa nube di pressapochismo che ci ottenebra la visuale e il cervello.
Resistiamo!
Non è facile per niente ciò che chiedo, ma forse posso farvi riflettere con delle domande:
Vuoi continuare a sopravvivere senza poter decidere nulla della tua vita?
Vuoi crescere figli e nipoti senza consapevolezza di quanto sia bello avere un’opinione diversa, perché è stato approfondito un argomento?
Non dico di imbracciare un fucile e fare un colpo di stato, ma perlomeno facciamo sì, che i dubbi possano guidarci fuori da questa caverna dove ci hanno costretto a vivere.
Iniziamo dal basso, dalle piccolissime cose di tutti i giorni lasciando che l’indifferenza non l’abbia vinta!
Liberiamoci!
Come ho passato il 25 aprile? Guardando una stupenda rappresentazione teatrale fatta dai bambini della primaria che li ha riportati a quei giorni di buio, quando gli hanno imposto di non giocare con bambini che portavano cucita una stella gialla, quando i fischi non erano un bel rumore, quando i nonni non raccontavano più le storie di paura, ma cantavano filastrocche per distrarli, quando sugli alberi appendevano corpi di giovani…giovani partigiani e i fiori non erano per gli innamorati, ma si deponevano sulle tombe.
“Non c’era abbastanza pioggia per lavare dalla terra il sangue degli uomini”
In questi anni poco ruggenti, ma tendenti al miagolante ho notato che ormai c’è un filtro per tutto.
Aria e acqua mi sta bene, perché con l’inquinamento globale servono, anche se fa molto effetto placebo.
Quelli che non concepisco molto sono tutto il resto dei filtri, delle vere e proprie schermate protettive che non ci consentono mai di vedere quale sia realmente la verità, la reale immagine che i nostri occhi proiettano al cervello.
Mi spiego meglio.
Ai miei tempi (ho 47 anni e non sono decrepita) si usava fare le foto con la classica macchina con il rullino, quindi se avevi un pochino di occhio non mozzavi le teste ed evitavi lo sfuocamento da ubriaco era un gran successo, ma lo scoprivi solamente quando estraevi le foto dalla busta del fotografo che te le sviluppava.
Adesso siamo tutti Helmut Newton, Man Ray, Oliviero Toscani e Letizia Battaglia.
Quello che loro creavano con l’arte assoluta dei loro occhi, con il loro stile, noi lo ricreiamo con i milioni di filtri. Si è coniato anche il termine “instagrammabile”, che si riferisce ad una fotografia creata ad hoc per comparire degnamente nei vari profili.
Abbiamo raggiunto la perfezione estetica, che io considero l’oblio della realtà. Perché limare le rughe, il naso, snellire e cambiare colori agli occhi? Tu non sei così…ti tocca cambiare nome al profilo!
Ognuno è comunque libero di fare ciò che vuole con la propria immagine, e se è una cosa che dà sicurezza ben venga, ma poi quando ci si incontra, la magia svanisce in un battito di ciglia finte.
Si scherma qualsiasi cosa ormai: purtroppo anche i sentimenti che passano quasi esclusivamente dal telefono, dai messaggi, dai vocali e perdono intensità, sbiadiscono.
Consegnamo i nostri batticuori filtrandoli attraverso uno schermo asettico e impersonale, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Non è così. Non lo sarà mai!
Cuoricini, faccine e siamo apposto, mentre il nostro cuore, magari, vorrebbe sentire ancora quella botta di adrenalina che ti ricarica e non leggere: “ti amo anch’io ❤”.
Lui, il signor Cuore, vuole fatti, vuole abbracci, vuole pelle d’oca, mica robe sintetiche e sterili.
L’intensità dei sentimenti va vissuta, che sia amore o odio, che sia rabbia o felicità: mi sembra che ‘sto telefono ci abbia relegato in un sottoscala, dove tutto ha solo toni di grigi senza nemmeno un picco estremo di colore.
Sfiltriamoci, e per la prima volta guardiamoci bene nelle palle degli occhi e ricoloriamo tutti i cuori anemici di un bel rosso sangue!
“La fotografia è un esercizio di osservazione e il risultato è sempre un colpo di fortuna” Isabel Allende
La protagonista del mio libro, Penelope, ha molta attinenza con l’anemia sentimentale…l’ha inventata lei in una certa maniera. Vi lascio il link per il preordine: